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Tutti i Torcasio dovevano morire

LAMEZIA TERME Vincenzo Torcasio aveva 19 anni quando è stato ucciso, a luglio del 2003, all’uscita di un locale notturno di Falerna Marina. Imparentato con la cosca Torcasio, aveva già un proprio r…

Pubblicato il: 08/02/2016 – 16:04
Tutti i Torcasio dovevano morire

LAMEZIA TERME Vincenzo Torcasio aveva 19 anni quando è stato ucciso, a luglio del 2003, all’uscita di un locale notturno di Falerna Marina. Imparentato con la cosca Torcasio, aveva già un proprio ruolo all’interno del clan: era l’autista di Antonio Torcasio, raccoglieva le estorsioni e, anche dopo l’omicidio di Antonio Torcasio, faceva da “specchietto” per le azioni delittuose della cosca. Il ragazzo doveva morire; tutti i Torcasio dovevano morire. La sentenza – stando a quanto riportato nell’ordinanza firmata dal gip Giuseppe Perri – era stata emessa dalla consorteria Cannizzaro-Da Ponte e Iannazzo, dominante sul quartiere di Sambiase, colpita nei propri alti ranghi dai Torcasio già nel 1998 con l’uccisione del vecchio capo-cosca Giuseppe Cannizzaro. 
E poi il giovane Vincenzo, “Enzino”, usciva, andava per locali, non restava prudentemente chiuso in casa come i pezzi grossi della sua famiglia.
Questo lo racconta, a gennaio 2014, Pietro Paolo Stranges, all’epoca legato ai Cannizzaro. Nei periodo in cui i soggetti più rappresentativi della cosca Torcasio, dopo gli omicidi di Giovanni (assassinato il 29 settembre 2000 unitamente al suo autista Cristian Matarasso), Nino (assassinato il 30 marzo 2002) e Antonio (assassinato, davanti al Commissariato di Lamezia Terme, il 23 maggio 2003), evitavano di uscire dalle proprie abitazioni, i Cannizzaro, nella loro voglia di vendetta, cercavano di individuare e procedere all’eliminazione di altri soggetti inseriti nell’odiata consorteria rivale. 
Per questo omicidio, quindi, gli inquirenti erano già da tempo alle costole dei fratelli Bruno e Alfredo Gagliardi, rispettivamente 41 e 37 anni. L’omicidio, infatti, era già stato contemplato nell’ambito dell’operazione Andromeda, che lo scorso maggio ha inflitto un duro corpo al clan di Sambiase. Una richiesta di misura cautelare era stata, infatti, già avanzata nei confronti dei Gagliardi ma rigettata.
Per poter incriminare i due fratelli è stata determinante la collaborazione di Gennaro Pulice, pentitosi qualche mese dopo l’arresto di maggio. I Gagliardi sono oggi accusati di omicidio aggravato dalla premeditazione oltre che dal metodo mafioso. Inoltre sono accusati del tentato omicidio di Vincenzo Curcio che quella maledetta sera accompagnava la vittima e che nell’agguato rimase ferito. I due, stando alle ricostruzioni degli agenti della Mobile di Catanzaro, coordinati dalla Dda, avrebbero agito in concorso con Gennaro Pulice ed Enzo Spena (a sua volta ucciso in un agguato mafioso da parte della cosca Giampà il 26 ottobre 2006). 



POSIZIONI ANCORA DA CHIARIRE Ma al vaglio degli inquirenti vi sono anche altre posizioni da chiarire, come quella di Vincenzino Iannazzo e Antonio Davoli che avrebbero delegato Bruno Gagliardi per organizzare e pianificare l’omicidio, e, ancora, di Domenico Cannizzaro, detto “Mimmo”, e di Gino Da Ponte che avrebbero dato l’incarico a Gennaro Pulice. 
Per la morte di Vincenzo Torcasio la strategia era stata ben apparecchiata: Bruno Gagliardi avrebbe ricoperto sia il ruolo di organizzatore dell’agguato che di responsabile dei sopralluoghi propedeutici all’omicidio, attraverso l’osservazione dei luoghi e delle abitudini della vittima; Gennaro Pulice sarebbe stato il killer; Enzo Spena Enzo, invece, il supporto armato all’azione del killer; Alfredo Gagliardi avrebbe avuto il compito di fare da “specchietto”. Quella notte del 26 luglio 2003 una raffica di colpi calibro 380 e 7,65 investirono Torcasio e Curcio mentre stavano lasciando il locale di Falerna e rientrando in macchina. «Gennaro Pulice – è scritto nelle carte dell’inchiesta – esplodeva vari colpi d’arma da fuoco contro Vincenzo Torcasio, uccidendolo, accompagnato da Enzo Spena che esplodeva vari colpi d’arma da fuoco contro il malcapitato Vincenzo Curcio, che accompagnava la vittima ma non era obiettivo dell’agguato, rimanendo quest’ultimo ferito». Secondo la testimonianza di Stranges, due erano stati i tentativi andati a vuoto per uccidere “Enzino”. La prudenza del giovane, però, si era poi scontrata con la sua voglia di uscire, di essere un ragazzo di 19 anni come tutti gli altri.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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