REGGIO CALABRIA Il problema non c’è, o meglio il problema è parte della soluzione. Sembra intendere questo il ministro dell’Interno Angelino Alfano, quando al termine della riunione straordinaria del comitato regionale per l’ordine e la sicurezza pubblica dichiara: «Siamo venuti per ribadire che lo Stato in Calabria c’è ed è più forte di chi lo vuole combattere. Contro la ‘ndrangheta abbiamo ottenuto dei grandi risultati ed ora le cosche stanno cercando di reagire ai colpi inferti dallo Stato».
Amministratori minacciati, negozi che saltano in aria, mezzi di trasporto pubblici e privati dati alle fiamme, ordigni lasciati in bella vista in centro e in periferia, proiettili e minacce recapitati a imprenditori, amministratori, giornalisti sarebbero dunque la risposta dei clan alla strategia di contrasto messa in piedi dallo Stato, con tanto di decreto ministeriale. Il riferimento è a quel piano straordinario di controllo del territorio – meglio conosciuto come focus ‘ndrangheta – che da poco più di un anno interessa Reggio e la sua provincia. «Parliamo con i numeri non con le chiacchiere», dice Alfano che snocciola «dal giugno del 2014 al dicembre 2015 abbiamo avuto 796.810 persone controllate, 530mila veicoli, 9.700 soggetti deferiti all’autorità giudiziaria,1394 arresti in flagranza, 938 fermi di indiziati di delitto”. Quello che Alfano non dice però è quanti fra reati e violazioni siano finiti sui tavoli della Dda, se e in che misura gli arresti siano legati a contestazioni di mafia, come pure a cosa abbiano portato quei controlli a tappeto.
Ma al ministro i numeri sembrano bastare. Chi sperava che la situazione emergenziale portasse ad uno sforzo del governo centrale in termini di uomini e mezzi è destinato a restare deluso. Per Alfano, i rinforzi inviati negli ultimi mesi in Calabria – 162 uomini per attività investigative, 340 per attività di controllo del territorio e 330 di potenziamento organico – sono sufficienti per annunciare che «abbiamo rispettato gli impegni», dunque si può puntare su nuovi obiettivi. O meglio, sugli obiettivi di sempre – mantenere e aumentare la pressione sul territorio, monitorare gli appalti pubblici e le amministrazioni locali – e una novità. A quanto pare, Roma sembra aver finalmente prestato orecchio ai magistrati reggini, che da tempo si sgolano per chiedere una pianta organica commisurata alla densità criminale – e non abitativa – del territorio.
La questione – promette Alfano – sarà portata al più presto all’attenzione del ministro della Giustizia Andrea Orlando e del vicepresidente del Csm, che si vedranno recapitare anche uno stralcio del verbale della riunione odierna. In più – aggiunge – «a breve avvieremo una serie di incontri per la nascita di un Osservatorio permanente pensato per monitorare le intimidazioni che ricevono gli amministratori pubblici», che per il ministro riceveranno sempre «il massimo sostegno istituzionale». Sulla riforma che ha messo nelle loro mani competenze – e appalti – un tempo appannaggio unico dello Stato, sottolinea Alfano, non si torna indietro, ma «la porta del Viminale e dei suoi organi sul territorio, le prefetture, sarà sempre aperta per chiunque». Da parte loro però, amministratori e cittadini – afferma il ministro – devono fare di più, «le indagini saranno più forti in caso di collaborazione della vittime». Molti – ammette – sono nel mirino perché «la ‘ndrangheta che si sente colpita e reagisce» e ci sono segnali di una maggiore fiducia nelle istituzioni, come l’aumento del numero dei collaboratori, ma la strada è ancora lunga da fare.
In ogni caso, Alfano si mostra fiducioso. «Metteremo in ginocchio la ndrangheta come abbiamo messo in ginocchio la mafia», dice il ministro che assicura «la nostra strategia è quella dell’impegno dello Stato no limits per la Calabria, non è ammessa nessuna distrazione, nessuna disattenzione. I calabresi devono sapere che l’impegno dello Stato c’è e combatte in prima linea per liberare questa terra da questa piaga della ‘ndrangheta». Ma ricorda «non esistono liberatori, esistono uomini che si liberano e noi abbiamo bisogno della forza della libertà e della determinazione di ciascun calabrese che sa bene che non può esistere sviluppo in presenza della ‘ndrangheta».
Proprio la necessità di dover fare da sé, con i pochi e sempre insufficienti mezzi che Roma ha messo a disposizione, è il messaggio che rimarrà più impresso a chi – fra magistrati, uomini delle forze dell’ordine, semplici cittadini che hanno deciso di dire no alle ‘ndrine – si troverà domani ancora una volta a combattere a mani nude una guerra di prima di linea.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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