REGGIO CALABRIA “Il Coraggio oltre la narrazione – la storia di Lea, le storie di chi non si arrende”. Questo il titolo dell’incontro organizzato da Sabbiarossa Edizioni e Reggio Cinema a Palazzo Campanella. Una folta platea di studenti ha assistito alla proiezione del film sulla tragica storia della testimone di giustizia Lea Garofalo, fatta a pezzi dal marito per ordine della ‘ndrangheta, e di sua figlia Denise. All’incontro hanno partecipato l’attore reggino Alessio Praticò (che nel film interpreta il ruolo del marito della vittima Carlo Cosco) e il regista Marco Tullio Giordana. Entrambi dopo la proiezione del film hanno dialogato con i ragazzi sui temi della partecipazione civile insieme, fra gli altri, al presidente del consiglio regionale Nicola Irto, al sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà, al coordinatore regionale di Libera, don Ennio Stamile, al responsabile di Reggio Cinema Enzo Russo e al procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho.
Impossibile restare indifferenti di fronte ai ritmi tesi di un film che, è stato evidenziato, «va visto di pancia». Una sequenza di emozioni sempre più stringenti per dipingere una storia che si dipana lungo l’Italia non un secolo fa ma ieri l’altro. Una storia che riguarda quei giovani «oggi coetanei di Denise» come ha ricordato il regista, «che si devono interrogare sul senso della loro vita in Calabria» alla luce di quello che hanno visto sulla scena. «Questo non è un film qualunque – ha evidenziato il procuratore De Raho – ma è un docu-film che narra la vicenda per come realmente accaduta». Per il procuratore il tema di Lea Garofalo e di Denise è quello che corrisponde alla classica modalità comportamentale delle ‘ndrine in cui «esistono delle regole che finiscono per determinare il futuro di tanti giovani che quando hanno la sfortuna di nascere in queste famiglie hanno un destino segnato da una vita fatta da tutto ciò che è contrario al bene».
Non si può utilizzare il termine di finzione per descrivere la trama. Non c’è finzione nella donna che scappa ruggendo, che batte i pugni sui tavoli della burocrazia, che si sposta senza soldi e senza protezione da una città all’altra trascinandosi dietro una bambina costretta a diventare donna più velocemente delle sue coetanee.
Per questa Ulisse al femminile non c’è una versione maschile di Penelope. Non c’è una patria, non c’è una casa a cui tornare perché i Proci in casa sua sono i parenti stessi. E l’Omero che ha raccolto questa storia e l’ha raccontata, questo aspetto lo ha colto nella sua essenzialità e l’ha buttata sullo schermo. Il coraggio ha le fattezze di donna in questa pellicola. Donne sono loro, donna è l’avvocato di Libera che aiuta Denise a sostenere il processo a suo padre, agli zii e al fidanzato. Solo alla fine si scopre chi sono le vere vittime. Quei maschi chiusi nella gabbia esteriore di un carcere e in quella interiore dell’inganno mafioso. Sono loro che vivono di spaccio e sopraffazione e neanche si rendono conto di essere loro i veri morti che camminano. Tutto questo gli adulti presenti a Palazzo Campanella hanno provato a spiegarlo alla platea affollata come non mai di adolescenti che vivendo qui respirano le polveri sottili dello ‘ndranghetismo, un’aria tossica perfettamente incarnata dal padre di Denise capace di ucciderle la madre e giurarle che lei, Denise, «è la luce dei suoi occhi e guai a chi la tocca».
Ecco allora che serve non uno scatto di orgoglio ma un cambio di mentalità come hanno sottolineato altri due giovani presenti, ovvero il presidente Irto e il sindaco Falcomatà. «Solo la meritocrazia – ha detto il presidente del consiglio regionale – e la democrazia consolideranno una società migliore in cui inclusione e partecipazione saranno i veri anticorpi della mafia». Per il primo cittadino la straordinarietà e la novità incarnate in Lea Garofalo stanno «nella consapevolezza di indicare nei propri familiari stessi i suoi aguzzini», sacrificando il quieto vivere sull’altare della libertà.
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