Il tempo modifica ogni cosa; c’è da capire, però, se il cambiamento è in positivo o in negativo. Sotto esame la politica: una volta era sufficiente un semplice “venticello” per determinare decisioni ultime come mettersi da parte per consentire che si facesse chiarezza senza il sospetto dell’influenza esercitata dalla carica. Era un modo per avere rispetto non solo verso i propri elettori, ma anche nei confronti della comunità in genere.
Un deputato, un sindaco, un assessore o anche un semplice consigliere che rimaneva impigliato nella rete del sospetto per non aver adempiuto ai canoni previsti dalla correttezza o, ancora peggio, che ricevesse una comunicazione giudiziaria, aveva di che arrossire e decideva di abbandonare il campo per non «intralciare – così si diceva – le indagini». Oggi che ci vogliono fare apparire eccessivamente garantisti, la considerazione ricorrente è: «non può essere sufficiente un avviso del giudice per determinare le dimissioni».
Naturalmente la legge vuole che fino alla sentenza definitiva prevalga la condizione di innocenza. Non sono comunque gli aspetti tecnici che ci interessano, serve considerare, invece, che quel passo all’indietro, quel “mettersi di lato”, non mutuava una ammissione di responsabilità, anzi era considerato un gesto nobile, di alta responsabilità, compiuto nel rispetto della propria persona e riguardoso verso gli elettori. Si sentiva quasi il bisogno di dimostrare che per coprire le responsabilità contestate non c’era alcuna intenzione di rimanere attaccati alla “poltrona”.
Ecco, in tal senso, un ritorno alle antiche abitudini sarebbe da interpretare come un salto verso la strada della rettitudine, per dimostrare che il senso della correttezza, soprattutto in politica, deve ritornare ad essere alto. Un esempio l’ha compiuto l’ex ministro Lupi che, pur in assenza di un qualsiasi intervento del magistrato, nel lasciare il dicastero ha avuto modo di dire che la sua era «una scelta fatta nel rispetto del bene comune».
Ed è proprio su questo che bisognerebbe interrogarsi. È fuor di dubbio che la gente sente la politica lontana dai problemi di tutti i giorni. Quel bene comune rappresentato dalla famiglia, dal lavoro, dalla casa, dalla sanità, dalla sicurezza, spesso viene considerato come archiviato se non tradito da chi ha il dovere di difenderlo.
Nella nostra regione l’aleatorietà di queste certezze si fa sentire di più rispetto ad altre, come se noi fossimo cittadini di un paese in via di sviluppo. Estranei in patria. Le differenze ovviamente non sono solo queste; qualcuno ci spiegherà qualche volta perché è possibile che a parità di mansioni e di lavoro il salario di un operaio del Mezzogiorno è inferiore a quello di un operaio del Nord. Ed ecco, dunque, come ritorna insistente quel “bene comune” che nelle aree del Mezzogiorno diventa sempre più opinabile, che si assottiglia giorno dopo giorno nella coscienza generale quasi a scomparire. Un rischio che pesa enormemente nell’auspicato processo di sviluppo, tanto da non farci sentire come parte della comunità nazionale.
Bisogna trovare l’antidoto che possa trasformare l’agente tossico in un composto innocuo, altrimenti ne potrebbe andare di mezzo il futuro che dovremmo garantire alla prossima generazione di adulti. E bisogna ripartire proprio da quel “bene comune” bistrattato, che sta diventando estraneo ai più per i tanti esempi non sempre incoraggianti che provengono anche da dentro le mura del nostro Mezzogiorno.
Abbiamo preso in prestito la vicenda del senatore Lupi per porla sul piatto della riflessione e che fa da contraltare a tanti altri episodi come quello accaduto alla Sacal, la società di gestione dell’aeroporto di Lamezia Terme, il più importante della Calabria: appena la Procura della Repubblica ha rivolto l’attenzione su alcune assunzioni, compresa quella del direttore generale tutt’oggi in regime di prorogatio e che si vorrebbe proporre per la direzione della nuova società di handling (i servizi aeroportuali), si è alzata una cortina protettiva simile a quella alla quale ci hanno abituati i partiti politici quando si tratta di attaccare un avversario che strumentalmente agisce per un interesse di bandiera. In questo caso la controparte era il pubblico ministero al quale la legge impone l’obbligo di intervenire per l’osservanza delle norme, per la tutela dei diritti dello Stato e delle persone giuridiche e per la repressione dei reati.
Forse è bene ricordare la considerazione di Giordano Bruno secondo la quale «la vita è conflitto tra bene e male: non esiste bene se non attraverso la sconfitta del male».
*giornalista
x
x