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«Anche Chirumbolo doveva morire»

CATANZARO Il prossimo a morire doveva essere lui, Giancarlo Chirumbolo, fratello di Giuseppe, ucciso il 31 marzo 2010. Giancarlo Chirumbolo – che nel processo Perseo, contro affiliati e sodali dell…

Pubblicato il: 17/02/2016 – 19:55
«Anche Chirumbolo doveva morire»

CATANZARO Il prossimo a morire doveva essere lui, Giancarlo Chirumbolo, fratello di Giuseppe, ucciso il 31 marzo 2010. Giancarlo Chirumbolo – che nel processo Perseo, contro affiliati e sodali della cosca Giampà, è stato condannato a sei anni di reclusione – era un uomo del clan. Ma, secondo quanto ha riferito mercoledì in aula l’ex reggente della cosca, oggi collaboratore di giustizia, Giuseppe Giampà, il suo uomo «se l’era immaginato» che a far ammazzare suo fratello era stato proprio lui, il suo, anzi, il loro capo.
Secondo Giuseppe Giampà, che aveva messo Chiurumbolo sotto osservazione dopo l’omicidio del fratello, Giancarlo si era avvicinato ai Torcasio. Questo bastava per segnare il suo destino ma prima – stando al carnet che lo stesso reggente aveva stilato – dovevano morire i Carrà, ossia Vincenzo e Francesco Torcasio, uccisi rispettivamente il sette giugno e il sette luglio del 2011. Sono stati gli ultimi morti del conflitto armato tra i Giampà e i Cerra-Torcasio-Gualtieri, prima che le inchieste e gli arresti li travolgessero. In questi mesi, davanti alla corte d’Assise di Catanzaro si sta celebrando il processo su sette omicidi compiuti tra il 2005 e il 2011 e per i quali sono imputati Franco Trovato, Vincenzo Arcieri, Antonio Voci e Giancarlo Chirumbolo (accusato di avere partecipato all’omicidio di Bruno Cittadino).

L’ASSASSINO DI GIUSEPPE «Giuseppe Chirumbolo era un mio amico di infanzia», «uno – dice Giampà nel corso dell’udienza – che veniva a casa mia e si prendeva i miei figli in braccio». Ma su di lui pendeva un sospetto grave – insinuato dalle parole di Saverio Cappello –, ossia che Giuseppe Chiurumbolo volesse fare fuori il reggente del clan. Giampà si fida delle parole di Cappello. Collegato in video conferenza con l’aula di corte d’Assise afferma che «Cappello sapeva fatti personali che conoscevamo solo io e Chirumbolo».
Giampà si lascia convincere e chiede aiuto a Franco Trovato per fare fuori il suo ex amico d’infanzia. «Dissi a Franco Trovato che mi serviva un appoggio al Razionale (località di Lamezia Terme, ndr) perché Chirumbolo mi voleva fare ammazzare». Sia Trovato che Chirumbolo sono dei Razionale e gli attriti tra i due, racconta il pentito, erano noti. A essere designati per compiere l’agguato erano Francesco Vasile e Alessandro Torcasio, detto “Cavallo”. Giampà ha sempre affermato che fosse stato Vasile a sparare, mentre Torcasio aveva fatto da “guardaspalle”. Ma messo davanti a un video nel 2014, da parte degli inquirenti, mostra come a sparare sia stato Torcasio, una cosa che l’ex reggente afferma di non avere mai saputo fino al momento in cui non si è trovato difronte alle immagini. Da parte dei suoi uomini non aveva saputo niente: «Loro mi avevano detto di avere rispettato i ruoli». A questa notizia l’avvocato Salvatore Staiano chiede che si sospenda il controesame, in attesa che il pubblico ministero, Elio Romano, depositi a verbale gli atti con l’interrogatorio relativo alla visione del filmato.
Ma la corte stabilisce che il controesame può andare avanti, considerando che “il dato storico” ossia i fatti, sono comunque emersi dalle dichiarazioni del teste e invitando comunque il pm a depositare gli atti con i nuovi interrogatori.
Ma cosa si vede nel filmato? Nel filmato non si riconosce il volto del killer. Giampà dice di riconoscere Torcasio dalle gambe lunghe, dalle movenze e dalla corporatura più slanciata rispetto a quella di Vasile. Il volto è incappucciato. In pochi secondi le immagini del delitto mostrano «Giuseppe Chirumbolo fare una corsa e subito cadere. Poi si vede una persona che gli si avvicina e fa fuoco». Questo racconta Giuseppe Giampà. Questo ha visto l’ex reggente che – rispondendo alle domande dell’avvocato Francesco Pagliuso – afferma che, uscito dal carcere nel 2008 ha cominciato a prendere le decisioni da solo, che «nessuno si è mai lamentato – «per gli omicidi non ho avuto lamentele» – «l’importante era che si facevano i morti».
Giampà afferma che «assolutamente no», non è vero quello che dice il pentito Angelo Torcasio, che cercò di dissuaderlo dall’uccidere Chirumbolo. E poi non ricorda, dice, l’episodio della sorella che va in carcere e lo avverte che il padre, il boss Francesco Giampà, è incazzato per come sta gestendo le cose e per il fatto che sta entrando in contrasto con lo zio Vincenzo Bonaddio. Quello stesso zio che al matriomonio di Giuseppe Chirumbolo sedeva a capotavola, il posto che si dà a chi merita “rispetto”.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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