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La “disattenzione” di Equitalia nel Vibonese

VIBO VALENTIA Il metodo è quello «tipico» che ormai si ripropone ciclicamente. A spiegarlo ai cronisti è stato il Procuratore di Vibo, Mario Spagnuolo, in seguito all’ennesimo sequestro di beni&nbs…

Pubblicato il: 22/02/2016 – 15:39
La “disattenzione” di Equitalia nel Vibonese

VIBO VALENTIA Il metodo è quello «tipico» che ormai si ripropone ciclicamente. A spiegarlo ai cronisti è stato il Procuratore di Vibo, Mario Spagnuolo, in seguito all’ennesimo sequestro di beni effettuato in provincia per ipotesi di reato di natura tributaria: «L’imprenditore, che ha un grosso debito con il fisco, decide di mettere in liquidazione la sua impresa. Nel farlo, però, prima sposta i suoi asset patrimoniali attraverso donazioni a parenti o a persone a lui riconducibili. Tutto ciò – ha aggiunto Spagnuolo riferendosi proprio all’indagine che ha coinvolto il noto imprenditore Tommaso Pugliese – avrebbe dovuto richiamare l’attenzione di Equitalia che, invece, in questo caso non si è mossa. È stata l’Agenzia dell’entrate ad avanzare una causa civile per annullare le donazioni. Quindi è intervenuta la Procura: abbiamo chiesto anche il fallimento di altre società riconducibili al gruppo in questione, ma abbiamo avuto esito negativo perché nel frattempo hanno ottenuto la rateizzazione del debito. Così – ha spiegato – abbiamo chiesto e ottenuto il sequestro a garanzia dei debiti con l’Erario».
Nel caso in questione infatti – hanno spiegato il colonnello Pallaria, il maggiore Celso e il capitano Torino – i 3 milioni di beni sequestrati all’imprenditore indagato costituirebbero la porzione “recuperata” dagli inquirenti del debito di circa 6 milioni di euro che la società aveva nei confronti dello Stato. «In alcuni casi – hanno commentato i vertici della Guardia di finanza vibonese – il patrimonio della società è stato distratto con atti di compravendita in cui non erano indicate neanche le modalità di pagamento…».
Gli inquirenti hanno poi spiegato come in provincia di Vibo, dove sono numerosissimi i casi di fallimento delle imprese, sia una prassi diffusa non pagare i debiti tributari maturati nel tempo e, contestualmente, sottrarre, con manovre fraudolente, i beni di impresa alle garanzie dell’Erario. Basti pensare che la Procura di Vibo, solo nell’arco del 2015, ha avanzato circa 60 istanze di fallimento. Numeri elevati – specie per un territorio circoscritto come quello vibonese – che sarebbe interessante equiparare con le eventuali iniziative assunte nello stesso senso dalla (quasi) sempre solerte Equitalia.

s. pel.

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