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Carcere duro per "Zio Rinaldo": «È come un boss»

COSENZA Disposto il 41 bis per Rinaldo Gentile, 56 anni, detto “Zio Rinaldo”, considerato esponente di spicco della cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Ruà e finito nella rete della distrettuale antimafia…

Pubblicato il: 04/03/2016 – 17:12
Carcere duro per "Zio Rinaldo": «È come un boss»

COSENZA Disposto il 41 bis per Rinaldo Gentile, 56 anni, detto “Zio Rinaldo”, considerato esponente di spicco della cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Ruà e finito nella rete della distrettuale antimafia di Catanzaro nell’inchiesta Acheruntia, che lo scorso sette luglio portò all’arresto di sette persone e all’iscrizione nel registro degli indagati di altre 17, compreso l’ex assessore all’Agricoltura (nella giunta Scopelliti), Michele Trematerra. Il carcere duro è stato disposto dal ministero della Giustizia lo scorso due marzo, su richiesta del sostituto procuratore della Dda Piepaolo Bruni. Sono 25 circa i detenuti – ritenuti ai vertici, o in posizioni di spicco nella criminalità organizzata del cosentino – per i quali il ministero ha accolto le richieste di 41 bis, una misura atta a isolare i rapporti tra il carcere e l’esterno con l’obbiettivo di disarticolare l’apparato delle ‘ndrine e inibire la trasmissione degli “ordini” da uno all’altro dei suoi organismi. Il carcere, di per sé, non viene considerato una soluzione atta a frenare le disposizioni di boss e reggenti e le comunicazioni tra i vertici delle cosche. Lo stesso Rinaldo Gentile, secondo la distrettuale di Catanzaro, «risulta essere in grado di mantenere contatti con esponenti tuttora liberi dell’organizzazione criminale di appartenenza».

UN RUOLO CARISMATICO Gentile viene considerato uno dei capi della cosca di ‘ndrangheta Lanzino-Ruà, operante nel capoluogo cosentino e in un vasto comprensorio del suo hinterland. Un «ruolo carismatico e da protagonista», quello di Gentile che ha preso piede col tempo, a seguito delle «dinamiche evolutive criminali registrate negli ultimi anni». Il suo nome e la sua partecipazione alle cosche cosentine cominciano, già negli anni Novanta, ad assurgere agli onori della cronaca. Con l’operazione “Garden” emerge il suo ruolo di spicco, insieme a Ettore Lanzino, nell’ambito del clan Pino-Sena. È in seguito al procedimento Garden, infatti, che Gentile ottiene una condanna definitiva per associazione mafiosa.
Con “Acheruntia”, poi, emerge «la forte personalità decisionista di Rinaldo Gentile» al quale gli altri associati si rivolgevano, oltre che per dirimere controversie, anche per ricevere l’assenso su determinati “affari” della cosca.

LE REGOLE DEL CARCERE Per fare un esempio del ruolo riconosciuto di Gentile all’interno del clan, il 19 giugno 2011 nel corso delle indagini viene registrato un colloquio nell’auto di Angelo Gencarelli – ex consigliere comunale di Acri ed ex componente della segreteria dell’assessore Trematerra, anch’egli coinvolto in “Acheruntia” – tra quest’ultimo, Giampaolo Ferraro e Natale Cappello. Ferraro raccontava di un episodio di violenza subito all’interno di un istituto carcerario. A questo punto Gencarelli e Cappello si inserivano nel discorso per spiegare «le regole del carcere» e «in tale contesto facevano riferimento a ruoli e gerarchie ‘ndranghetistiche cosentine, mantenute anche all’interno dei penitenziari». Gencarelli menzionava, perciò, specifici personaggi dei quali evidenziava il ruolo all’interno della consorteria. Tra questi «compare Rinaldo», definito un «capo società».

I PENTITI Oltre alle intercettazioni, per definire il ruolo di “Zio Rinaldo” nella cosca, intervengono anche le dichiarazioni di recenti collaboratori di giustizia come Francesco Galdi, Roberto Violetta Calabrese, Mattia Pulicanò, Adolfo Foggetti e Giuseppe Montemurro. Nello specifico, Galdi evidenzia il ruolo dirigenziale di Gentile, tale da permettergli di «controllare i settori sia delle estorsioni che dei videopoker». Secondo Calabrese, Rinaldo Gentile – in seguito all’arresto dell’allora reggente Francesco Patitucci – aveva assunto la direzione della cosca.
Mattia Pulicanò ha dichiarato che «compare Rinaldo riveste un ruolo di Vangelo in quanto è un elemento assolutamente apicale e di vertice nell’ambito della cosca medesima». Argomentazioni confermate da Foggetti e Montemurro: «Era considerato uno degli elementi di vertice dell’organizzazione di ‘ndrangheta facente capo a Lanzino». Inoltre Montemurro ha anche raccontato – per sottolineare la caratura di Gentile – di quando lo stesso venne chiamato a dirimere una problematica sorta con un appartenente alla famiglia Pelle di Reggio Calabria. C’è poi da sottolineare come il territorio cosentino non sia del tutto sgombero, oggi, dalle sue figure apicali. Lo scorso 23 settembre, per esempio, è tornato in libertà Francesco Patitucci considerato, per usare le parole del collaboratore Foggetti, “strettamente legato” a Gentile. Disinnescare qualsiasi contatto o possibilità di governare attività criminose, diventa, dunque, ancora più urgente.

MESSAGGI DAL CARCERE Non sono state rare le occasioni in cui, in condizioni di carcere ordinario, i componenti delle cosche hanno utilizzato ogni mezzo a propria disposizione per comunicare e gestire tutte le attività illecite del sodalizio. Eloquenti, in tale contesto, i messaggi che dalla casa circondariale di Cosenza Adolfo D’Ambrosio inviava proprio a Rinaldo Gentile, all’epoca libero. 

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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