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«Così Matacena ha corrotto Passaniti»

REGGIO CALABRIA «Dal compendio probatorio sopra richiamato è emerso che Matacena, reale titolare della Amadeus s.p.a., dava mandato al suo uomo di fiducia, una sorta di amministratore ombra, Politi…

Pubblicato il: 05/03/2016 – 10:12
«Così Matacena ha corrotto Passaniti»

REGGIO CALABRIA «Dal compendio probatorio sopra richiamato è emerso che Matacena, reale titolare della Amadeus s.p.a., dava mandato al suo uomo di fiducia, una sorta di amministratore ombra, Politi Martino, l’ordine di procedere nell’ambito di una operazione, illegale, che riguardava il contenzioso che la società aveva in atto riguardo alla richiesta di approdo ad un molo del porto di Villa San Giovanni». Non lascia alcun margine di interpretazione la Corte d’appello di Reggio Calabria nel motivare la sentenza con cui ha condannato a 4 anni di carcere l’ex deputato di Forza Italia per corruzione in atti giudiziari.

MATACENA CORRUTTORE Una pena – sottolineano i giudici dell’appello – «condivisibile (..) in considerazione del ruolo rivestito e dei gravi precedenti (fra gli altri, per resistenza a pubblico ufficiale e concorso esterno in associazione di stampo mafioso) a suo carico, non potendo certo assurgere a circostanza valutabile in suo favore l’intento di sottrarsi alle prescrizioni della P.A., legittime o meno che fossero, corrompendo un Giudice». Il giudice in questione era l’ex presidente del Tar Luigi Passanisi, punito con 3 anni e 6 mesi, avvicinato al fine di ottenere sentenze favorevoli alla “Ulisse shipping” e alla “Amedeus spa”, che l’ex politico di fatto governava, pur essendo formalmente amministrate rispettivamente da altri.

NON C’È DUBBIO CHE SIA PASSANISI «L’individuazione in Passanisi del pubblico ufficiale corrotto – scrivono al riguardo i giudici, sovvertendo i tentativi delle difese di metterne in dubbio l’identificazione – è certa sia in considerazione della posizione dallo stesso rivestita nell’ambito dell’ufficio giudiziario interessato, sia per la espressa ammissione compiuta nel corso del giudizio da Pratticò Giuseppe». Ex amministratore di una delle società di Matacena e unico assolto nel procedimento, Pratticò, interrogato nel corso del giudizio ha affermato chiaramente che i cinquantamila euro sollecitati da Martino Politi «ho capito che dovevano essere destinati a pagare qualcuno che dovesse addomesticare una sentenza», confermando pienamente l’ipotesi dell’accusa.

L’EX GIUDICE NON SI È TIRATO INDIETRO Ma sulle responsabilità di Passanisi, la Corte è andata anche oltre le conclusioni dei giudici del primo grado. Per i giudici infatti non c’è ragione di pensare che l’ex presidente del Tar abbia deciso di non dare seguito agli impegni presi con Matacena. Al contrario «tutto il materiale probatorio utilizzabile sin qui esaminato, infatti, attesta esattamente il contrario, dando conto della perdurante sussistenza dell’accordo corruttivo sino al 14 dicembre 2005. Come già rilevato dal primo Giudice, poi, è del tutto irrilevante ai fini della consumazione del delitto che non si sia acquisita la prova dell’effettivo versamento di somme di denaro in favore del pubblico ufficiale (il che rende ininfluente l’assenza di significative movimentazioni bancarie da parte dell’imputato)».
Assolutamente irrilevanti, sottolineano inoltre i giudici sono le argomentazioni difensive riguardo «l’impossibilità, sotto il profilo squisitamente giuridico, per Passanisi di emettere una pronuncia favorevole agli interessi della Amadeus s.p.a. Da un lato, va detto che non si è accertato in quali termini il magistrato avesse assicurato il proprio intervento, né è possibile, in questa sede, ipotizzare tutte le soluzioni che si sarebbero potute trovare». Per questo – afferma la Corte – «non può escludersi che Passanisi avesse accettato la promessa anche se consapevole di adottare una pronuncia poi eventualmente suscettibile di riforma».

CONFERMATO IL RUOLO DI POLITI Non meno perentori, sono stati i giudici nello spazzare via le interpretazioni e ricostruzioni alternative della vicenda proposte dalle difese. «Il contenuto, il tono e la tempistica delle conversazioni, insieme con gli incontri e contatti registrati con Giglio – si legge nelle motivazioni – consentono di escludere che Politi (e Pratticò) fossero impegnati nel tentativo di sottrarre a Matacena somme di denaro millantando falsi rapporti con un magistrato amministrativo». A dimostrarlo, sottolinea la Corte, sono le conversazioni intercettate da cui emerge in maniera chiara che Politi «se da un lato forniva informazioni al titolare del gruppo e ne riceveva ordini, dall’altro si impegnava nel reperimento delle somme necessarie, tenendosi in contatto con Giglio, cui queste erano chiaramente destinate».
In più, lo stesso “amministratore delegato ombra” – ricordano i giudici – «nella intercettazione del dicembre 2005, evidenziava che il rapporto con la persona da corrompere era in corso già da due mesi e faceva esplicito riferimento ad una precedente occasione, in cui Matacena aveva “preso impegni” ma non li aveva portati a termine, sempre con riferimento ad una “sentenza”». Per questo, afferma con forza la Corte «è pertanto, ampiamente inverosimile che soggetti tutt’altro che sprovveduti, quali gli esponenti di un gruppo imprenditoriale che fatturava somme elevatissime, potessero per un periodo prolungato cadere nella trappola loro predisposta da un singolo individuo, peraltro ampiamente conosciuto e frequentato come Giglio».

GIGLIO, IL TRAMITE Individuato come “ponte” per arrivare a Passanisi dall’ex segretario regionale Alberto Sarra, Giglio è considerato dagli inquirenti «il tramite essenziale per far incontrare le volontà di Matacena Amedeo e di Passanisi Luigi».
Una valutazione su cui la Corte d’appello sembra pienamente concordare perché «in definitiva, i rapporti tra Politi e Giglio non hanno trovato nessuna plausibile spiegazione alternativa a quella del coinvolgimento del secondo nell’attività corruttiva, avendo la difesa solo genericamente evocato eventuali non provate ragioni legate alla politica». Allo stesso modo, i giudici considerano «illogico pensare che lo stesso Giglio potesse approfittare della prestigiosa amicizia di cui godeva nei confronti di Passanisi, ponendo in essere una attività così articolata e rischiosa all’insaputa dello stesso».

LA MOGLIE DI PASSANISI CONSAPEVOLE DELL’ABUSO Totalmente confermate sono state anche le responsabilità attribuite alla moglie di Passanisi, Gabriella Barbagallo, che tramite il colonnello della Guardia di Finanza Agatino Sarrafione – già giudicato con rito abbreviato – ha tentato di avere informazioni riservate su eventuali indagini in corso sul marito.
Per i giudici, la donna, condannata a 1 anno e 4 mesi per la prescrizione di uno dei reati contestati, era «pienamente consapevole di sollecitare l’accesso ad un sistema informatico non aperto a tutti e consultabile solo per particolari ragioni di giustizia e sicurezza, al fine di ottenere notizie che una mera richiesta alla motorizzazione civile non le avrebbe potuto procurare. In presenza di tale consapevolezza e di simile volontà, non rilevano in alcun modo le motivazioni intime che avevano determinato la donna ad agire, non potendosi peraltro configurare nella fattispecie alcun tipo di scriminante».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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