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Usura ed estorsione a un commerciante, sei condanne

CATANZARO Sono stati tutti condannati a pene tra i sei e i tre anni di reclusione i sei imputati nel processo “Insomnia” che prende piede dall’omonima operazione messa a segno il 25 novembre del 20…

Pubblicato il: 07/03/2016 – 11:38
Usura ed estorsione a un commerciante, sei condanne

CATANZARO Sono stati tutti condannati a pene tra i sei e i tre anni di reclusione i sei imputati nel processo “Insomnia” che prende piede dall’omonima operazione messa a segno il 25 novembre del 2014 dai carabinieri del reparto operativo di Vibo Valentia e coordinata dalla Dda di Catanzaro su un vasto giro di usura che stava distruggendo la vita di un imprenditore, Giuseppe Baroni, commerciante di abbigliamento e oggetti preziosi.
Questa tranche del procedimento che si è svolta con rito abbreviato, si è conclusa con le seguenti pronunce da parte del gup Giuseppe Perri: Gaetano Antonio Cannatà, condannato a sei anni di reclusione; Francesco Cannatà, quattro anni di reclusione; Damiano Pardea, tre anni e quattro mesi; Alessandro Marando, tre anni di reclusione; Salvatore Furlano, cinque anni e Giovanni Frazé, quattro anni di reclusione. Il gup ha condannato gli imputati anche al risarcimento delle parti civili, ossia Giuseppe Baroni rappresentato dall’avvocato Michele Gigliotti e la fondazione antiusura “Interesse Uomo” guidata da don Marcello Cozzi e seguita dal legale Josè Toscano.
Secondo l’accusa – rappresentata dal pm Camillo Falvo – le condotte degli imputati erano tutte aggravate dal metodo mafioso (metodo posto in essere dai diversi imputati facendo riferimento ad una presunta appartenenza alle cosche Bellocco di Rosarno; Fiarè-Gasparro Razionale; Lo Bianco-Barba di Vibo). L’aggravante mafiosa è stata riconosciuta a Gaetano Cannatà per un capo di imputazione: per avere sfruttato il “metodo mafioso”, in particolare facendo riferimento come tecnica di intimidazione, alla provenienza dei capitali erogati da soggetti legati alla criminalità organizzata di stampo ‘ndranghetistico, segnatamente alla consorteria mafiosa dei “Bellocco” di Rosarno.
La vita di Giuseppe Baroni è stata distrutta dall’usura, il suo lavoro annientato dalle continue richieste di denaro. I prestiti che chiedeva avevano tassi altissimi e accordi capestro che prevedevano, nel caso di mancata restituzione della somma entro i termini stabiliti, ulteriori interessi del 10% mensili. Ogni richiesta veniva fatta sfruttando il cosiddeto “metodo mafioso”, facendo riferimento, come tecnica di intimidazione alla provenienza dei capitali erogati da soggetti legati alla criminalità organizzata. Le minacce fatte a Baroni avevano un sapore che non lascia scampo. A giugno del 2014, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Cannatà e Pardea si erano recati a casa dell’imprenditore e Cannatà lo aveva apostrofato con una frase minatoria: «Per colpa tua sto facendo brutta figura con tutte le persone, vedi di onorare gli impegni presi altrimenti qui diventa come il giorno dei morti».
Dopo anni senza prendere pace, dal 2010 al 2014, Giuseppe Baroni ha deciso di denunciare il proprio calvario, con il sostegno della Fondazione, e di raccontare ogni cosa agli inquirenti che, effettuati i dovuti riscontri, hanno trascinato a processo i sette imputati.
Per Domenico Bruno Moscato il processo prosegue a Vibo Valentia con rito ordinario.

ale. tru.

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