REGGIO CALABRIA Un’assoluzione, ma pene pesantissime per tutti gli altri imputati, primo fra tutti l’ambasciatore dei clan Gianluca Favara. Così ha deciso il gup Davide Lauro al termine del processo con rito abbreviato ‘Ndrangheta banking. La pena più alta va a Gianluca Favara, condannato a 17 anni e 4 mesi di carcere piu 10mila euro di multa, mentre 12 anni e 4 mesi sono andati a Fortunato Danilo Paonessa. È invece di undici anni più 2mila euro la pena decisa per Giuseppe Codispoti e Francesco Buda, mentre 9 anni sono stati inflitti a Francesco Foti. Otto anni sono andati a Antonino Cotroneo mentre è di 6 anni e 4 mesi più 10mila euro di multa condanna stabilita per Carlo Avallone. Infine 4 anni sono andati a Vincenzo Pesce.
CARTINA TORNASOLE Pene pesanti ma commisurate – aveva spiegato Lombardo nell’invocarle in sede di requisitoria – al ruolo degli imputati di un procedimento delicato e di rilevo non solo perché ha svelato il gigantesco sistema di credito parallelo gestito dai clan Condello e Pesce-Bellocco e come il milanese sia divenuto il principale terreno di reinvestimento dei profitti illeciti delle cosche reggine. L’indagine ‘Ndrangheta banking ha fatto soprattutto da cartina tornasole a quelle inchieste che hanno svelato i nuovi assetti ed equilibri della ‘ndrangheta reggina e il direttorio che li governa. A dare conferma alle più recenti indagini – aveva affermato il pm – non sono solo giudicati definitivi e non, ma anche figure come Gianluca Favara, che di quegli equilibri e del sistema che governano è nume tutelare. «Favara non è una figura qualsiasi nel panorama della ‘ndrangheta reggina – aveva sottolineato Lombardo – è una figura di collegamento che si attiva soprattutto nei passaggi più delicati per l’organizzazione, che possono minare l’equilibrio mafioso».
APPALTO CONTESO Il riferimento è a quell’appalto del Comune di Rosarno su cui gli imprenditori Barbieri – storicamente vicini alle famiglie del gotha del mandamento di centro – avevano messo le mani, provocando le ire dei Pesce, “padroni” della città della Piana, che avevano già messo gli occhi su quel lavoro, programmando di affidarlo alla ditta formalmente intestata a Biagio Maduli. Una situazione disinnescata proprio dall’ambasciatore Favara, ma che tanto i Barbieri, tanto i Pesce, che cercano subito e in maniera confusa l’interlocuzione con il mandamento centro, si affrettano a chiarire, chiamando in causa il gotha della ‘ndrangheta o i loro diretti emissari. «Favara – aveva aggiunto il pm, ricostruendo la vicenda – è una figura imprescindibile di un sistema che non si manifesta attraverso le riunioni dei grandi capi, ma attraverso gli ingranaggi fondamentali, come quello rappresentato da Favara».
AUTOMATISMI DI SISTEMA Ma quell’appalto conteso – aveva evidenziato Lombardo in sede di requisitoria – è anche una vicenda paradigmatica degli “automatismi” previsti dal sistema che regola i rapporti fra le ‘ndrine, come pure del particolare momento storico vissuto all’epoca dai clan cittadini. I “diritti” dei Barbieri su quel lavoro diventeranno infatti oggetto di contenzioso anche fra i clan reggini dei Tegano e De Stefano, da sempre federati e a pieno titolo parte del direttorio della ‘ndrangheta reggina, ma in quel 2008 sempre più divisi. Indizi precisi su un sistema criminale in grado di convertirsi in sistema finanziario privato in grado di porsi come interlocutore affidabile e necessario per una platea di imprenditori che non hanno o non hanno più accesso al credito.
LA BANCA DELLE ‘NDRINE Quella gestita dai clan Condello e Pesce-Bellocco di Rosarno, tramite personaggi come Gianluca Favara e Pasquale Rappoccio era una vera e propria banca parallela, in grado di costringere quattro imprenditori – due calabresi e due lombardi – ad attraversare le forche caudine del credito fornito dai clan». E non solo per gli interessi maturati sul prestito, che – hanno scoperto gli investigatori – toccavano punte anche del 20%. Per il clan l’obiettivo principale era appropriarsi delle imprese. È quello che è successo con la Makeall dell’imprenditore Agostino Augusto, titolare anche di cinque case di cura, già finito al centro dell’operazione “Mentore” della Dda milanese. Tentato dal prestito dei clan, trascinato fino in Calabria, terrorizzato e minacciato, Augusto nel giro di pochi mesi si trasforma da rampante imprenditore in impaurita marionetta nelle mani di Favara e dei suoi sgherri che sul suo impero puntano a mettere le mani proprio tramite Pasquale Rappoccio.
IMPRESE IN MANO AL CLAN Presentato all’imprenditore milanese in difficoltà come un «amico competente per materia», in grado di fornire in fretta le attrezzature mediche necessarie all’allestimento di tre case di cura, l’ex rappresentante della Medinex era stato chiamato in realtà a rilevare a prezzi stracciati l’ormai zoppicante Makeall spa. Una manovra a tenaglia che avrebbe visto da una parte Favara mettere spalle al muro con pressioni fisiche e verbali l’ingegnere milanese – Augusto finirà due volte in ospedale – dall’altra, Rappoccio chiamato a presentarsi come unico interlocutore finanziario disponibile. Una strategia che seguiva un «copione – affermano gli inquirenti milanesi – oramai consolidato nel modus operandi della ‘ndrangheta calabrese», in grado di penetrare l’economia e la società lombarda affondando come un coltello nel burro. Circostanze che per il pm vanno valutate al di là della singola contestazione, ma in base alla funzionalità che esse mostrano di avere per il sistema che le genera.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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