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È il momento di ripensare i partiti

Pubblichiamo, a partire da oggi, una serie di riflessioni del professore Silvio Gambino, ordinario di Diritto costituzionale all’Unical, e tra i sostenitori del “no” al referendum sulla riforma cos…

Pubblicato il: 15/03/2016 – 12:01
È il momento di ripensare i partiti

Pubblichiamo, a partire da oggi, una serie di riflessioni del professore Silvio Gambino, ordinario di Diritto costituzionale all’Unical, e tra i sostenitori del “no” al referendum sulla riforma costituzionale.

L’ultimo trentennio è stato caratterizzato da tentativi di cambiamento (legislativi e costituzionali) nella forma di governo e nel sistema politico, partitico ed elettorale. Tuttavia, poiché vogliamo concentrarci sulla riforma costituzionale in itinere – e sul “combinato disposto” costituito dal ddl di revisione costituzionale n. 2613-D Boschi-Renzi e dalla riforma elettorale (cosiddetto Italicum) – non possiamo ora ripercorrere il dibattito svoltosi nel Paese a partire dai primi anni 90 e quello che ha accompagnato la revisione costituzionale bocciata da corpo elettorale che, nella legislatura 2001-2006, ha contrastato la maggioranza parlamentare di centrodestra (meglio, di destra, in quanto l’Udc nel 2006 non sosteneva la riforma costituzionale Bossi-Berlusconi).
A chi non lo ricorda deve infatti ricordarsi che quel maldestro tentativo di revisione costituzionale fu nettamente respinto dal corpo referendario (con il 61,3% dei no), nel referendum costituzionale svolto in quella calda estate (era il 25 e 26 giugno 2006). È opportuno anche ricordare come fra gli esiti di tale dibattito e dei relativi riflessi istituzionali può farsi rientrare una profonda trasformazione della forma-partito che aveva positivamente accompagnato lo sviluppo della democrazia “di massa” nel Paese, proponendosi come la sua vera ‘”Costituzione materiale” (come la definiva Costantino Mortati), uno ‘”Stato di partiti” (“Parteienstaat”).
L’affermazione dei “partiti-cartello”, prima, dei “partiti personali”, in seguito, costituisce, in tale quadro evolutivo, il sintomo di un processo più vasto e profondo, che ha le sue radici nella perdita progressiva del modulo partecipativo nella scelta dei candidati da parte dei partiti a favore di decisioni che si sono gradualmente trasferite nelle mani delle (ristrette o ristrettissime) segreterie politiche e ancor di più a favore della emersione di modelli leaderistici nella organizzazione delle campagne elettorali.
Ciò, nel corso degli anni, ha evidenziato l’esigenza di un ripensamento delle tematiche centrali costituite dalla effettività della previsione costituzionale in tema di “democrazia interna” dei partiti, ma le forze politiche, senza vera differenza al loro interno e rispetto al relativo orientamento ideologico, si sono rifiutate di “regolare gli sregolati” (secondo una felice espressione di Giuseppe Ugo Rescigno), con la conseguenza che ne è seguita una loro profonda delegittimazione surrogata da forme alternative di partecipazione politica non più di tipo formalmente partitiche ma di tipo solo associative e movimentistiche, quando non dal ricorso a forme, esse stesse costituzionalmente discutibili, di partecipazione/decisione di tipo web. In questo quadro si inseriva la prospettiva di un ripensamento del sistema elettorale, chiaramente riepilogato nel titolo (e nei contenuti) di un volume di quegli anni di G.F. Pasquino (“Restituire lo scettro al principe”, Bari, 1986); un principe costituito dai cittadini-sovrani, e uno scettro che era stato, sia pure con scarsa qualità rappresentativa, occupato dai partiti politici che, da strumenti di partecipazione politica, gradualmente, si erano costituiti come un vero e proprio diaframma fra i cittadini e le istituzioni di rappresentanza e di governo.

*Docente Unical

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