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SISTEMA REGGIO | Scacco all'aristocrazia mafiosa – LE FOTO

REGGIO CALABRIA Ci sono anche l’anziano avvocato Giorgio De Stefano e Dimitri De Stefano, fratello del capocrimine Giuseppe fra gli arrestati dell’inchiesta Sistema Reggio, che ha svelato come…

Pubblicato il: 15/03/2016 – 6:53
SISTEMA REGGIO | Scacco all'aristocrazia mafiosa – LE FOTO

REGGIO CALABRIA Ci sono anche l’anziano avvocato Giorgio De Stefano e Dimitri De Stefano, fratello del capocrimine Giuseppe fra gli arrestati dell’inchiesta Sistema Reggio, che ha svelato come i clan De Stefano e Condello da anni tengano sotto scacco la città di Reggio Calabria. Cugino di don Paolino De Stefano, l’avvocato Giorgio in passato era stato condannato “solo” per concorso esterno, ma è da sempre considerato il consigliori del potente casato di ‘ndrangheta di Archi. Figlio più piccolo di don Paolino, Dimitri fino ad oggi aveva sempre mantenuto una posizione più defilata rispetto ai fratelli Giuseppe e Carmine, protagonisti assoluti della strategia criminale che ha portato il clan di Archi ad affermarsi come vero e proprio perno su cui si definiscono gli equilibri del direttorio della ‘ndrangheta reggina. Quasi sconosciuti alle cronache più recenti, l’avvocato Giorgio e Dimitri, sono stati incastrati grazie all’indagine coordinata dai pm Roberto di Palma e Rosario Ferracane, che ha permesso di ricostruire l’asfissiante attività estorsiva con cui clan De Stefano e Condello, insieme alle ‘ndrine loro collegate dei Franco, Rosmini e Araniti, hanno asfissiato per anni attività economiche e commerciali di Reggio Calabria. I clan – ha svelato l’indagine “Sistema Reggio”, partita agli approfondimenti investigativi sulla pipe bomb che l’11 febbraio 2014 ha distrutto il bar “Malavenda” – non solo tenevano sotto scacco la maggior parte delle attività commerciali della città, ma esercitavano anche in modo sistematico il potere di regolamentazione dell’accesso al lavoro privato, come la potestà di regolamentazione dell’esercizio del commercio. Bisognava chiedere permesso ai clan prima di assumere un dipendente e dare sempre la precedenza ai soggetti da loro indicati, bisognava chiedere l’autorizzazione – hanno scoperto inquirenti e investigatori – prima di aprire per aprire un attività o un negozio nei “loro” quartieri. Zone come Santa Caterina, storico quartiere cerniera fra Archi e la città, finito al centro di feroci faide prima e durante la seconda guerra di ndrangheta, quindi spartito in regime di concordia dopo la pax mafiosa del ’91.

GLI ARRESTATI Oggi, lì a comandare per conto dei due casati erano i Franco, espressione dei De Stefano, tramite il loro massimo esponente Roberto Franco, e gli Stillitano, famiglia storicamente condelliana, oggi gestita dai fratelli Mario Vincenzo e Domenico Stillitano. Tutti e tre sono stati arrestati questa notte dagli uomini della squadra mobile, insieme ad altre otto persone, fra cui Antonio Araniti e Giovanni Sebastiano Modafferi, elementi di spicco del clan Araniti, Antonino Nicolò, pezzo da novanta della cosca Rosmini. In sei sono invece finiti ai domiciliari, mentre due persone sono state colpite da obbligo di dimora. Associazione mafiosa, concorso esterno, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni sono i reati a vario titolo contestati agli atri diciotto colpiti da misura. Inoltre, è di oltre dieci milioni di euro il valore dei beni sequestrati questa mattina all’alba dagli uomini della squadra mobile.

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(Le perquisizioni della polizia nel blitz di questa mattina) 

I SEQUESTRI Sotto sigilli sono finiti noti bar della città, come il celebre Villa Arangea,  una stazione di servizio per l’erogazione di carburante, una concessionaria di autovetture ed esercizi commerciali per la distribuzione di prodotti ittici surgelati. Secondo quanto emerso dall’indagine coordinata dai pm Rosario Ferracane e Roberto Di Palma, gli esponenti delle cosche di Reggio Calabria avevano costituito e gestito, direttamente o per interposta persona, una serie di attività economiche, operanti in diversi settori imprenditoriali, attribuendone la titolarità formale a terzi soggetti, al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine e le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione. 

L’INDAGINE Partita dagli approfondimenti investigativi sulla pipe bomb che l’11 febbraio 2014 ha distrutto il Bar Malavenda, seguita nel giro di poche settimane dal rinvenimento di un ordigno inesploso della stessa natura davanti alle vetrine distrutte del bar, l’inchiesta è stata sviluppata anche sulla base di intercettazioni telefoniche, ambientali e delle video riprese disposte dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Gli elementi acquisiti dalla squadra mobile, grazie alle attività tecniche, hanno consentito di ricostruire puntualmente non solo le dinamiche criminali relative al duplice attentato del Bar Malavenda con l’individuazione dei mandanti, ma anche ai contesti mafiosi riconducibili ai due più potenti casati di ‘ndrangheta operanti a Reggio Calabria, i De Stefano e i Condello, storicamente dominanti tanto nel loro feudo di Archi, come in altri quartieri della città. Le indagini hanno infatti consentito di accertare che Carmelo Salvatore Nucera, aveva dovuto chiedere il permesso al clan De Stefano per avviare Villa Malavenda, noto bar del centro di Reggio Calabria che ha sostituito la storica pasticceria che i Malavenda hanno venduto alla famiglia Nicolò. Ma l’apertura della nuova attività non ha messo d’accordo i reggenti destefaniani e condelliani di Santa Caterina. Se Nucera aveva infatti strappato “il permesso” a Roberto Franco, non era riuscito invece a convincere i fratelli Domenico e Mario Vincenzo Stillitano, rappresentanti dello schieramento dei Condello, che invece si erano decisamente opposti all’apertura del nuovo locale. Per superare il loro veto posto, Carmelo Nucera si era rivolto ai massimi rappresentati delle cosche De Stefano e Condello. Nel primo caso era riuscito ad arrivare fino a Giorgio De Stefano (“il massimo”) attraverso la mediazione di un conoscente e nel secondo caso ai Condello tramite gli Araniti. Per quella vicenda, Nucera è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa, perché avrebbe aiutato e rafforzato le cosche di Santa Caterina assicurandosi la protezione della ‘ndrangheta in relazione all’apertura del nuovo bar. Insieme a lui è finito in manette anche il suo socio Giovanni Carlo Remo, perché insieme a lui ha permesso alla ‘ndrangheta di imporre l’assunzione di alcuni dipendenti “graditi” alle cosche e la potestà di regolamentazione dell’esercizio del commercio e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria. 

AIUTO ALLE COSCHE Due indagati, Carmelo Salvatore Nucera e Giovanni Carlo Remo sono stati arrestati per concorso esterno in associazione mafiosa. Avrebbero aiutato e rafforzato le cosche di Santa Caterina assicurandosi la protezione della ‘ndrangheta in relazione all’apertura dell’esercizio commerciale denominato bar “Ritrovo Libertà” (nuova denominazione dell’ex bar Malavenda) intestato a Nucera e gestito da quest’ultimo in società di fatto con Remo, riconoscendo alla ‘ndrangheta il potere di regolamentazione dell’accesso al lavoro privato in relazione all’assunzione di alcuni dipendenti “graditi” alle cosche e la potestà di regolamentazione dell’esercizio del commercio e, più in generale, il controllo sulle attività economico-produttive del quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria.
Alcuni indagati sarebbero stati aiutati da Maria Angela Marra Cutrupi di 52 anni che lavorava, come impiegata a tempo determinato e con mansioni esclusivamente esecutive, all’ufficio Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria. La donna avrebbe informato alcuni indagati dell’esistenza di un’inchiesta a loro carico. Questa notte è stata arrestata con l’accusa di riv
elazione e utilizzazione di segreti di ufficio aggravata dalla circostanza di aver agevolato la ‘ndrangheta. Assieme a lei – e con la stessa accusa – è finito in manette anche il marito Domenico Nucera, a cui la donna avrebbe rilevato le informazioni coperte da segreto, apprese negli uffici giudiziari, che sarebbero poi state riferite da quest’ultimo al fratello Carmelo Salvatore Nucera.
Altre sei persone sono state arrestate per intestazione fittizia di beni, essendosi prestate a fare da prestanomi ad appartenenti alle cosche operanti in città, al fine di consentire loro di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

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Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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