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SISTEMA REGGIO | Vuoi aprire un negozio? Chiedi a De Stefano

REGGIO CALABRIA Un regime parallelo in cui sono i clan e non lo Stato a decidere chi può aprire un negozio e un’attività commerciale, chi in quel posto debba lavorare, per quanto e a che condizioni…

Pubblicato il: 15/03/2016 – 15:39
SISTEMA REGGIO | Vuoi aprire un negozio? Chiedi a De Stefano

REGGIO CALABRIA Un regime parallelo in cui sono i clan e non lo Stato a decidere chi può aprire un negozio e un’attività commerciale, chi in quel posto debba lavorare, per quanto e a che condizioni. È questo lo spaccato – inquietante – emerso dall’inchiesta Sistema Reggio, che ha svelato come i clan controllassero con pugno di ferro attività economiche e commerciali nella città calabrese dello Stretto. «Questa è una risposta forte a chi dice che lo Stato è debole dice il questore Raffaele Grassi, spiegando il lavoro fatto dalla sua squadra Mobile, al comando di Francesco Rattà – lo Stato è forte e risponde con forza all’arroganza delle cosche, di fronte alla quale reagisce e non arretra». È proprio grazie alle indagini – pazienti – degli uomini della Mobile, coordinati dai pm Rosario Ferracane e Roberto Di Palma, che da un episodio è stato possibile ricostruire l’intero sistema, arrivando fino ai massimi vertici dei De Stefano e dei Condello, casati di ‘ndrangheta che storicamente dominano la città.

ARISTOCRAZIA MAFIOSA In manette sono finiti questa notte anche l’avvocato Giorgio De Stefano, storica eminenza grigia dell’omonimo clan, e cugino prediletto del boss Paolo De Stefano, e il figlio più piccolo di quest’ultimo, Dimitri. Per lungo tempo tenuto nell’ombra dalla caratura criminale dei fratelli, il maggiore Carmine e il capocrimine Giuseppe De Stefano, «quando entrambi sono finiti in carcere, lui si è dovuto muovere come rappresentante della famiglia. Siamo in presenza di uno di quei casati di ‘ndrangheta che anche quando i suoi massimi esponenti finiscono in carcere, è in grado di individuare un esponente della famiglia che continui a rappresentarli».

UNITI PER IL BUSINESS Uniti in un’alleanza solida ormai ultraventennale, i due casati che dall’85 al ’91 si sono dilaniati durante la seconda guerra di ‘ndrangheta, è sull’equa spartizione degli affari che oggi hanno fondato un nuovo patto. In passato, inchieste e processi hanno dimostrato come in pieno regime di concordia – al massimo sporcato da qualche fisiologico attrito – siano state gestite le estorsioni, le municipalizzate, l’edilizia privata, questa nuova indagine dimostra come anche le attività commerciali non siano sfuggite alle regole forgiate dopo la seconda guerra di ‘ndrangheta dal direttorio.

UNO STRANO ATTENTATO A far partire le indagini è stata la pipe bomb che l’11 febbraio 2014 ha distrutto il Bar Malavenda, seguita nel giro di poche settimane dal rinvenimento di un ordigno inesploso della stessa natura davanti alle vetrine distrutte di quello che nei primi anni Novanta era il ritrovo della Reggio bene. Un episodio strano in un quartiere come Santa Caterina, storicamente sotto il dominio dei clan di Archi, perché cerniera fra il loro feudo e la città. Un episodio su cui investigatori e inquirenti hanno deciso di voler indagare fino in fondo.

SCENARI TROPPO COMPLICATI All’epoca, dopo anni di inattività, la struttura nel giro di poco tempo era passata di mano due volte. Gli antichi proprietari, i Malavenda, l’avevano venduta a Alessandro Nicolò, elemento di spicco del clan Serraino. Un’iniziativa – scopriranno poi gli investigatori della Mobile – che non era piaciuta per niente ai fratelli Mario Vincenzo e Domenico Stillitano, reggenti di Santa Caterina per conto dei Condello e proprietari del troppo vicino Fashion Cafè. Una contrarietà manifestata a suon di bombe, che ha immediatamente convinto Nicolò a passare la mano. Nonostante gli ottimi rapporti che il suo clan vanta tanto con i Condello, con cui erano alleati fin dai tempi della guerra, tanto con i De Stefano, con cui l’avvicinamento è più recente ed è legato a personaggi come Ivan Nava, Nicolò capisce che per lui lo scenario è troppo complicato. Vende tutto a Carmelo Salvatore Nucera, che nonostante sia – quanto meno ufficialmente – solo un rappresentante di dolciumi, sembra sapere come muoversi.

PELLEGRINAGGIO DI CLAN IN CLAN A rivelarlo è la figlia Maria Rita, che intercettata dagli investigatori, forse improvvidamente al telefono racconta come il padre si sia subito attivato per i “permessi”. E non con l’amministrazione comunale o altre istituzioni. Ma con i De Stefano, i Condello e i clan da loro delegati che a Santa Caterina dettano legge. «Già hanno parlato con chi era giusto che parlavano», si lascia fuggire la giovane, che poi – ascoltata dagli investigatori – ripercorre per filo e per segno tutto il “pellegrinaggio” ‘ndranghetistico del genitore. Proprio qui sorge il problema per l’imprenditore e il fratello Domenico, che se dal reggente destefaniano Roberto Franco ottengono subito il placet, dagli Stillitano ricevono solo un secco diniego. «Noi – racconta la figlia dell’imprenditore abbiamo parlato con chi dovevamo parlare… Roberto (Franco, ndr) gli ha detto “per me non ci sono problemi, ci sono problemi con gli Stillitano”… nel momento in cui mio padre è andato a parlare con Stillitano e Stillitano gli ha detto “ti consiglio di non aprire il bar”… allora mio padre gli ha detto: “Roberto io te lo sto dicendo qua, io il bar lo apro, poi ognuno fa quello che vuole”. E Roberto gli ha ripetuto “per me non ci sono problemi”».

MEDIATORI La giovane racconta le trattative come se fosse una normale, ma noiosa operazione commerciale. Ma gli interlocutori di Nucera non sono né concorrenti, né istituzioni cui chiedere permesso. Sono feroci clan di ‘ndrangheta, gelosi di territori e prerogative. «Oggi c’era l’ultima riunione per parlare di questa cosa, e praticamente si è messo in mezzo con quelli di Sambatello (il clan Araniti, ndr). Sono andati ad Archi e gli hanno detto che è una cosa personale, che gli serve a loro, no che gli serve, che gli interessa che è un favore che gli devono fare il bar… è un favore, perché sicuramente avranno bisogno di un… cioè gli devono un favore e gli hanno detto… quelli gli hanno detto non c’erano problemi, da Archi, quindi ora devono chiamare a quello (Stillitano, ndr) e comunicarglielo ma quello qualcosa la fa sicuro lo stesso”)».

ASSUNZIONI SU COMMISSIONE Una ricostruzione – sconfortante – che fa il paio con quella fornita dallo stesso Nucera, anche lui ascoltato dagli investigatori. Intercettato, racconta di come nel corso della trattativa, in segno di buona volontà e a titolo di garanzia, abbia anche assunto una cassiera e altre due persone. «Uno me l’ha chiesto Araniti, uno me l’ha chiesto Condello e uno Nicolò». Nello specifico, dice «una è la moglie di Araniti “alla cassa”, e “c’è pure quella là scritta nel banco (come banconista, ndr), è iscritta anche lei su internet… quella la devo prendere pure, in riferimento a Maria Teresa Arena, ex moglie di Filippo Rosmini. Un elenco, destinato per altro a crescere – spiega – perché «ora sicuramente, siccome mi ha chiamato coso, qualcuno me lo cerca pure lui e non gli posso dire di no, Giorgio De Stefano».

IL PLACET DI RE GIORGIO È stato lui a dare il placet definitivo per l’apertura del bar. Nucera non lo ha contattato di persona, ma le sue istanze gli sono state rappresentate «tramite un amico», Roberto Franco. È il reggente a parlare per Nucera a Giorgio “il massimo” e a Dimitri De Stefano. E di rimando, all’imprenditore assicurano che «se parla lui (Giorgio De Stefano, ndr), gli Stillitano sono obbligati a piegarsi «perché incominciando da quello gli mettono il muso nel culo… gli mettono il muso nel culo e non parlano più!». Franco è certo: «Io ho parlato, io ho parlato sia con i De Stefano e sia con i Tegano… lo sai cosa mi hanno detto, Dimitri: “Tranquillo…per noi sì… però il problema là”». Un problema poi superato anche grazie a tali sponsor, dimostra la serena attività del bar. Un’attività divenuta oggi simbolo di un regime occulto che la città non vuole più tollerare.

Alessia Ca
ndito

a.candito@corrierecal.it

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