La legislazione di riforma elettorale intervenuta ma anche i tentativi di riforma costituzionale si sono dimostrati inidonei a farsi carico della soluzione ai problemi della instabilità governativa
e al contempo a quelli della valorizzare delle esigenze rappresentative delle Camere.
In tale quadro, le forze politiche sono andate alla ricerca di soluzioni strumentali e partigiane, capaci di volta in volta di assicurane la stabilità alla base delle maggioranze di governo. Tali soluzioni legislative, nel complesso e con riguardo alle singole leggi elettorali sono risultate inadeguate a farsi carico delle esigenze di garanzia della rappresentatività politica delle Camere e della stabilità governativa.
I governi fondati su un bipolarismo (almeno tendenziale) sostenuto dalla legislazione elettorale (prevalentemente) maggioritaria adottata a partire dagli anni ’90, così, si sono rivelati, nella realtà, per quello che istituzionalmente essi esprimevano, cioè “governi di coalizione”, in altri termini, governi sostenuti da forze politiche e fondati su accordi elettorali intorno ad un leader, le quali, nel Parlamento, rivendicavano visibilità nella funzione di governo e responsabilità rappresentativa.
Quali che fossero i meccanismi utilizzati, pertanto, non pare conseguito l’obiettivo assegnato alla nuova legislazione elettorale intervenuta a sostegno di un “governo del Premier”.
Il tema ritorna così a riproporsi negli stessi termini dei primi anni ’90, allorché si era manifestato nel Paese un nuovo orientamento (almeno parzialmente di apertura) verso la “democrazia maggioritaria”, fatta in gran parte di scelte di investitura diretta dei vertici degli esecutivi e di semplificazioni elettorali e partitiche, in breve, di formule orientate nella direzione della “personalizzazione” della politica e della “presidenzializzazione” del potere esecutivo.
A partire dalla elezione diretta dei sindaci nei primi anni ’90, passando per l’elezione a suffragio universale dei cosiddetti governatori delle Regioni, è iniziato in tal modo un percorso che sia pure in modo non lineare guarda e si orienta al cosiddetto “Sindaco d’Italia”; un modello cioè di investitura democratica dei vertici degli esecutivi, che nel tempo, come si è detto, si è inevitabilmente accompagnato con forme più o meno intense di personalizzazione della politica, di affermazione di “partiti personali”.
Dopo quasi un trentennio di pratica di tale modello di democrazia sarebbe apparso ragionevole interrogarsi sulla congruità politica e costituzionale dei rapporti fra rappresentanza politica e governabilità sperimentati alla luce della legislazione maggioritaria intervenuta. In tale ottica se, da una parte, infatti, i partiti politici ne sono risultati delegittimati, dall’altra, la dinamica dei rapporti fra Parlamento e Governo ha visto il primo pressoché totalmente asservito al secondo, e quest’ultimo piegato a logiche di tutela di interessi settoriali (e spesso “personali”), incompatibili con un modello di democrazia che si assume come matura. Le strategie istituzionali alla base della legislazione volta e sostenere il bipolarismo politico e la “governabilità”, così, sono fallite nel loro intento ma, al contempo, hanno avuto modo di comprimere oltre il ragionevole le esigenze di rappresentanza politica.
La scelta ora obbligata è quella di concentrarci sul combinato disposto della revisione costituzionale (in itinere) e della nuova legge elettorale, in quanto, sia pure in tempi diversi, è su tali due testi normativi che il corpo elettorale sarà chiamato a pronunciarsi.
*Docente Unical
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