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«Parziali i dati di Confcooperative sull'agricoltura»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Giovanni Aramini, dirigente del settore Sviluppo rurale del dipartimento regionale della Regione Calabria in merito all’articolo “Agricoltura, tutti i dati de…

Pubblicato il: 16/03/2016 – 10:26
«Parziali i dati di Confcooperative sull'agricoltura»

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Giovanni Aramini, dirigente del settore Sviluppo rurale del dipartimento regionale della Regione Calabria in merito all’articolo “Agricoltura, tutti i dati del declino” apparso sul Corriere della Calabria in data 15/03/2016.

L’articolo è basato su una lettura asettica del rapporto di Confcooperative che dipinge un eccellente sistema imprenditoriale costretto a far fronte ad un sistema burocratico incapace di gestire le Politiche Agricole. Lei conclude l’articolo affermando che i “numeri come i fatti sono ostinati e non possono essere alterati da nessuno”.

I numeri, tuttavia, possono essere forniti in maniera parziale e, come spesso accade, le mezze verità corrispondono a grandi bugie.
Il confronto fra i dati 2007 e 2014, alla base del lavoro citato, testimoniano, come da Lei sostenuto, il declino dell’agricoltura calabrese. Gli stessi dati, tuttavia, costituiscono una mezza verità per una ragione semplice.
Il 2014, come ben noto a chi si occupa, anche solo marginalmente, di agricoltura, è stato un anno drammatico sul piano produttivo per l’olivicoltura calabrese, con un crollo della produzione di olio di circa il 70%. Il comparto olivicolo rappresenta circa il 30% del valore aggiunto del settore agricolo calabrese ed anche questo è a lei ben noto. Nel 2015, al contrario, la situazione produttiva è tornata alla normalità con un incremento di circa 70.000 tonnellate di olio. Considerato un valore medio di 3,8 €/kg, il recupero rispetto al 2014 è stato più di 260 milioni di euro. 
È evidente che questi numeri fanno venire meno i presupposti della tesi del rapporto di Confcooperative ed ovviamente anche del suo articolo. D’altra parte, i numeri del rapporto di Confcooperative contrastano fortemente con il rapporto di Banca Italia “L’economia della Calabria” del 2015 che descrive un quadro per il settore primario in linea con la situazione economica del Mezzogiorno.
Una considerazione anche per ciò che riguarda gli investimenti in agricoltura che diminuiscono in Italia (-6%) ma crollano in Calabria (-26,7%). Se teniamo conto che il sostegno pubblico (Programma di sviluppo rurale) nel periodo considerato è rimasto invariato, ne deriva che, mentre a livello nazionale per ogni euro di contributo pubblico il sistema delle imprese ha investito due euro di capitali privati, in Calabria ne ha investito solo uno. In altri termini ha investito esclusivamente la quota obbligatoria di cofinanziamento. Mi verrebbe da dire che il pubblico ha fatto come nelle altre regioni italiane, gestendo le risorse del Psr secondo un quadro di regole europee, ma il sistema delle imprese si è limitato al “minimo sindacale” per avere accesso ai contributi pubblici.
Come vede i numeri sono ostinati ma a volte possono essere alterati da chi ha una visione poco obiettiva della realtà.
Naturalmente le mie sono solo considerazioni tecniche, quelle politiche competono ad altri.

Ringraziamo il dirigente Aramini per la precisazione, anche se restano comunque non ancora chiariti diversi punti ad iniziare dalla circostanza che nonostante la mole di risorse europee giunte in Calabria negli ultimi decenni per mettere in linea l’economia regionale del settore a quella di altri contesti – anche interni allo stesso Mezzogiorno – non ha sortito alcun risultato concreto.
Anzi. E lo stesso assunto che evidenzia il dirigente regionale secondo il quale in quegli scorci di anni passati in rassegna dal report di Confcooperative gli investimenti pubblici in Calabria sono tutt’altro che diminuiti, non fanno altro che rafforzare semmai la considerazione – ed è solo un eufemismo – che qualcosa nell’utilizzo delle risorse dei vari Programmi di sviluppo rurale nella nostra regione non ha funzionato. Il sistema produttivo del comparto, infatti, resta con tutti i limiti dei decenni precedenti: polverizzazione delle aziende, bassa capacità di produrre valore aggiunto e un export con numeri decisamente risibili. E questi, al di là delle polemiche, sono fatti. (r.d.s.)

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