La revisione costituzionale Boschi-Renzi come manomissione dei principi della “democrazia costituzionale”. In questa ottica proporremo ora alcune riflessioni sulle proposte di revisione costituzionale Boschi-Renzi e sui relativi rapporti con la nuova legge elettorale, che per molti profili si pone in quasi piena continuità con la previgente legge elettorale, sottolineando la necessità di argomentare l’esigenza di difesa della Costituzione e dei suoi valori di pluralismo e di partecipazione politica dalle torsioni maggioritaristiche estreme e dalla (intollerabile) “democrazia del capo” che ci viene proposta in modo assolutamente insopportabile nel merito politico e in quello giuridico-costituzionale.
Nella lettura che qui si propone (e che è confortata da autorevole dottrina costituzionale), infatti, la revisione costituzionale Boschi-Renzi costituisce un grave attacco a principi della “democrazia costituzionale”, qualificati come “supremi” dalla consolidata giurisprudenza costituzionale, come quello della sovranità popolare (art. 1. Cost.), quello dell’eguaglianza e della ragionevolezza (art. 3 Cost.) e quello rappresentativo (art. 48 Cost.), evidenziando come la loro violazione da parte del testo di revisione si accompagni inevitabilmente con la soppressione di quei “pesi” e “contrappesi” che la teoria costituzionale, dalle origini liberal-democratiche, assume come necessarie e indefettibili affinché la rivisitazione della forma dello Stato e della forma del Governo che se ne sta facendo in Parlamento non corra il rischio di riporre alla proprie spalle il principio costituzionale della separazione dei poteri, senza la cui esistenza la democrazia farebbe un tonfo all’indietro nella direzione dello Stato assoluto.
Prima di procedere oltre, occorre anche sottolineare un limite procedurale presente sia in questa che nelle altre revisioni costituzionali che l’hanno preceduta e cioè la compressione inammissibile della sovranità del cittadino nell’esprimere il proprio voto sul quesito referendario avente ad oggetto il ddl di revisione costituzionale. Nell’indirizzo che la maggioranza parlamentare sta ora seguendo, il voto referendario può infatti consistere in un “sì” o in un “no”; il voto che si potrà esprimere, cioè, deve essere o di adesione o di contrarietà ma solo con riguardo all’insieme del testo di revisione, non essendo possibile esprimere un voto sulle singole parti nelle quali si articola il testo di revisione costituzionale.
La giurisprudenza e la dottrina costituzionale, da tempo, hanno argomentato, inascoltate, i limiti costituzionali di un simile modo di procedere. Se fosse consentito al corpo referendario, oggi come in passato, di pronunciarsi su singoli profili del testo di revisione, la sovranità del cittadino ne risulterebbe riconosciuta e rispettata e lo stesso esito del pronunciamento referendario verrebbe alleggerito di quelle tensioni oppositive che l’argomentazione critica deve talora utilizzare se vuole offrire argomenti convincenti al cittadino che sarà chiamato a esprimersi sul referendum.
In questa ultima direzione, ad esempio, muove la riflessione con riguardo alla soppressione del Cnel e alla modifica del Titolo V della Costituzione in tema di riordino delle competenze (esclusive e concorrenti) dello Stato e delle Regioni, nonché di positivizzazione della “clausola di supremazia”, la quale consente allo Stato di ingerirsi nelle competenze regionali qualora lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.
Relativamente ad un simile indirizzo di riforma, infatti, è corretto affermare la piena legittimità di orientamenti differenziati, di favore o in senso contrario, agli indirizzi accolti nella traiettoria seguita nella revisione da parte della maggioranza parlamentare. Ciò porta a sottolineare come il “no” alla revisione costituzionale non esprime il dissenso su tutte e ognuna delle disposizioni di revisione bensì su quelle che ne costituiscono l’architrave istituzionale fondamentale e che si pongono alla base dell’attuale indirizzo politico-costituzionale della maggioranza parlamentare (più correttamente, dell’indirizzo seguito dall’Esecutivo). In un simile scenario, pur dopo aver sottolineato il dubbio sulla illegittimità di quel quesito referendario che sarà sottoposto al voto dei cittadini, in ragione della sua eterogeneità (dal momento che in esso risulta presente una pluralità molto eterogenea di questioni oggetto della revisione costituzionale), rimane che le ragioni alla base del voto negativo al testo di revisione che sarà sottoposto a referendum sono comunque tali da giustificare l’impegno convinto e deciso di cittadini informati e responsabili volto a contrastare la violazione inammissibile (e irresponsabile) della Costituzione che ne ha fatto la maggioranza parlamentare.
Mettendo ora da parte (se fosse mai consentito) i dubbi e le critiche relative alle ragioni procedurali poste dalla eterogeneità del quesito referendario, le principali tematiche di tipo sostanziale di questa riflessione critica sui contenuti del ddl di revisione riguardano al contempo le traiettorie seguite dal legislatore di revisione costituzionale e gli stretti rapporti tra tale strategia di revisione e le stesse prospettive della riforma elettorale. Si tratta di prospettive obiettivamente allarmanti con particolare riguardo al tasso di accentramento di potere nelle mani del Governo (e soprattutto del Presidente del Consiglio, al contempo, e discutibilmente, segretario del partito di appartenenza) e alle conseguenti possibili gravi alterazioni del principio costituzionale di separazione dei poteri; dunque, la prospettiva di una ‘post-democrazia’ che si sta ora (fattualmente e formalmente) configurando, in modo allarmante e ambiguo, come ‘”post-costituzionale” o, se si vuole, “a-costituzionale”.
*Docente Unical
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