REGGIO CALABRIA Affrontano lo scoglio dell’interrogatorio di garanzia in ordine sparso e con strategie difensive differenti i diciannove indagati dell’operazione “Sistema Reggio”, che ha svelato come anche il settore di bar e ristorazione rispondesse alle logiche di spartizione comune degli affari scaturito dalla seconda guerra di ‘ndrangheta.
Un regime di concordia su cui dal ’91 sono stati cementati gli equilibri fra i casati mafiosi dei De Stefano e dei Condello, svelato dalle inchieste e provato dai processi nell’universo grande degli appalti pubblici, dell’edilizia privata, delle municipalizzate come nella spartizione delle estorsioni, ma che oggi appare identico anche nel settore bar e ristorazione. Un sistema emerso grazie alle indagini sviluppate dalla Mobile sulla bomba che ha nel 2014 ha distrutto l’ex bar Malavenda, ma giunte fino al massimo vertice del clan De Stefano, che storicamente controlla la città.
In manette, su richiesta dei pm Roberto Di Palma e Rosario Ferracane sono finiti l’avvocato Giorgio e Dimitri De Stefano, ultimo figlio di don Paolino – storico boss degli arcoti – individuati come vertice di quel casato che da decenni scrive di proprio pugno la storia criminale della città e non solo. Puntuali, entrambi si sono presentati all’interrogatorio di garanzia scortati dai loro legali, ed entrambi – quasi a sorpresa – hanno risposto per ore alle domande del gip e dei pm.
Da parte loro, nessuna ammissione, ovviamente. Al contrario, è quasi un – fin troppo identico – ritratto da vittima del nome che portano e della storia cui il clan appartiene, quella che hanno proposto a giudice e pm, giurando sull’assoluta estraneità alle accuse loro contestate. E non sono stati gli unici a spendersi per assicurarlo agli inquirenti. Un inspiegabile tentativo di soccorso è arrivato infatti anche da Carmelo Salvatore Nucera, maggiormente impegnato – filtra all’indomani dell’interrogatorio – a scagionare l’avvocato De Stefano, piuttosto che a difendere se stesso. Parla con giudice e pm anche la “talpa” Maria Angela Marra Cutrupi, tirocinante di azienda “Calabria lavoro” spedita all’ufficio gip, che ha approfittato delle informazione raccolte in ufficio per informare il marito, Domenico Nucera, delle indagini a carico del fratello. Ma a tentare di spiegare le proprie ragioni sono anche alcune delle teste di legno dei clan individuate dall’inchiesta, come Giuseppe Smeriglio, ras della catena di market del surgelato “Delizie del mare”, e Saveria Saccà, formale proprietaria della Caffetteria Mediterranea di San Brunello.
Si trincerano invece dietro il più assoluto silenzio i fratelli Domenico e Mario Vincenzo Stillitano, reggenti di Santa Caterina per conto del clan Condello, individuati anche come mandanti della bomba che ha fatto saltare il bar Malavenda. Altri ancora dopo una partenza baldanzosa e apparentemente collaborativa, di fronte alle prime contestazioni hanno scelto la più comoda via del silenzio. Nessun commento arriva dalla Dda, ma stando a quanto filtra la procura sarebbe soddisfatta del quadro emerso dagli interrogatori. Le parole degli indagati non avrebbero fatto altro che confermare il sistema portato alla luce dagli inquirenti reggini.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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