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Riforma o revisione costituzionale?

Con riguardo specifico alle disposizioni di revisione in tema di forma di Stato e di governo, siamoin presenza di un superamento dei principi costituzionali consegnati dal dibattito costituente fra…

Pubblicato il: 19/03/2016 – 10:43
Riforma o revisione costituzionale?

Con riguardo specifico alle disposizioni di revisione in tema di forma di Stato e di governo, siamo
in presenza di un superamento dei principi costituzionali consegnati dal dibattito costituente francese post 1789 e che appare del tutto privo di un quadro teorico chiaro e trasparente nel quale inquadrare la riscrittura dei nuovi equilibri fra legislativo/esecutivo, con la soppressione – a favore
dell’esecutivo – delle regole costituzionali di garanzia, con la compressione formale e sostanziale del procedimento legislativo da parte del Governo, con la svalutazione degli strumenti partecipativi e con essi la stessa conclusione della parabola partecipativa organizzata dai partiti di massa.
Lo scenario disegnato dal combinato disposto di revisione costituzionale e di riforma elettorale muove, così, nella direzione di un nuovo progetto conservatore fondato sulla svalutazione del Parlamento, sulla esasperazione del leaderismo e della personalizzazione della politica, sul rafforzamento e sulla legittimazione quasi diretta del capo dell’esecutivo, e dunque sulla presidenzializzazione degli esecutivi, che si sta mano a mano configurando costituzionalmente.
La riflessione obbligata deve ora concentrarsi sulle due disposizioni costituzionali di disciplina della
revisione costituzionale e dei relativi limiti, l’art. 138 e l’art. 139 della Costituzione.
È necessario partire da queste disposizioni procedurali (prima ancora che da quelle sostanziali di disciplina di specifici profili e istituti) in quanto di tale disciplina costituzionale è necessario cogliere la stessa ratio che ha guidato i Costituenti nel disegnare una procedura rafforzata di revisione costituzionale rispetto al procedimento legislativo ordinario: due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, adottate a maggioranza assoluta dei componenti di ognuna delle due Camere.
Se tale disciplina costituisce il primo dei contenuti della procedura costituzionale di revisione, è soprattutto sul secondo di tali contenuti che occorre ora soffermarsi, se si vogliono comprendere le
ragioni alla base del referendum costituzionale e la sua stessa natura. Occorre cioè comprendere se si tratta di un referendum costituzionale dalla natura oppositiva rispetto al testo di revisione adottato dalle Camere, ovvero se si tratta di un referendum di tipo confermativo. Una simile riflessione risulta di grande attualità nel dibattito in corso sui rischi di pulsione populistica e plebiscitaria che il presidente del Consiglio, in modo costituzionalmente scorretto, e comunque illegittimo, ha voluto imprimere alla consultazione referendaria, nella quale ha posto in diretta competizione, da una parte, il rispetto e la tenuta della democrazia costituzionale e dei suoi equilibri, e dall’altra la sua permanenza personale al Governo (e perfino in politica). Una fiducia impropria, del tutto sconosciuta all’ordinamento costituzionale, che manipola in modo populistico la ratio e lo spirito delle disposizioni costituzionali in materia di referendum costituzionale.
Che poi l’esperienza storica ricordi come leaders carismatici, come Charles De Gaulle, avessero posto inopinatamente la fiducia personale sull’approvazione della revisione di parti della costituzione (si trattava in quel caso della introduzione nell’ordinamento costituzionale francese delle Regioni), costituisce un precedente meritevole di essere richiamato anche per gli esiti di quella improvvida richiesta di fiducia ad personam. Il corpo elettorale francese non fu d’accordo sulla revisione proposta e il generale De Gaulle, capo dello Stato, ne dovette trarre tutte le conseguenze, anticipando una quiescenza che probabilmente avrebbe potuto essere protratta nel tempo con vantaggio della politica e del popolo francese.
Ciò non sorprende più di tanto a voler considerare che un simile indirizzo (populistico sotto un profilo squisitamente tecnico) si accompagna da più tempo con la crisi dei partiti di massa e con la loro trasformazione in partiti personali, in un processo che probabilmente è andato troppo avanti per essere ricondotto, come occorrerebbe comunque fare, ai vincoli dell’art. 49 Cost. in tema di democrazia interna ai partiti (peraltro quasi mai osservati in Italia).
In un simile quadro, le novità non sono tanto costituite dalla diffusione delle tendenze populistiche
quanto piuttosto dalla permeabilità che queste ultime hanno avuto nei confronti di un partito che nelle sue recenti evoluzioni storico-politiche è stato percepito (invero per ragioni ascrivibili al soggetto politico dal quale ha avuto la sua risalente origine) come un punto di riferimento nella difesa della democrazia costituzionale e della stessa democrazia come tale. Una simile affermazione renderebbe quanto mai opportuna la ricerca delle ragioni che hanno portato anche questo partito a rincorrere, al pari di quanto si era affermato in altre forze politiche, formule di democrazia di investitura e con esse la logica della esasperazione del leaderismo, frequentandole tanto all’interno del partito quanto all’interno delle istituzioni di governo del Paese.
Completando il richiamo del testo costituzionale in materia di referendum costituzionale, l’art. 138
Cost. prevede che le leggi di revisione sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne fanno domanda un quinto dei componenti di una Camera o 500.000 elettori o 5 consigli regionali. Le legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle due Camere a maggioranza dei 2/3 dei suoi componenti.
Il richiamo della disposizione costituzionale risulta utile per affrontare un tema molto dibattuto nell’ambito delle forze politiche della maggioranza parlamentare. La maggioranza governativa al seguito del suo leader politico e capo del Governo, infatti, ha inteso in tal modo auto-qualificare come “riforma” costituzionale ciò che da un punto di vista tecnico non può essere altro che un insieme (eterogeneo, confuso e in alcuni profili irragionevole, come si è osservato) di disposizioni di revisione costituzionale. In tal modo, essa ha voluto sottolineare di volersi iscrivere nella schiera dei riformatori, ricacciando fra i conservatori l’insieme delle forze parlamentari e sociali che in Parlamento e fuori di esso si sono espresse criticamente nei confronti della revisione voluta dal leader di Governo, presidente del Consiglio. Insomma, se la maggioranza governativa parla di riforma costituzionale lo farebbe anche per accusare di conservatorismo chi osteggia la proposta di revisione costituzionale Renzi-Boschi.

*Docente Unical

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