LAMEZIA TERME Ci sarebbe una bara trafugata da ignoti e recuperata per ordine del clan all’origine del «rapporto sinallagmatico» – così lo definiscono inquirenti e investigatori – a legare il clan Iannazzo al re della grande distribuzione, il lametino Franco Perri. A svelarlo agli investigatori è stato il collaboratore Giovanni Governa, autista e factotum di Francesco Giampà, capo storico dell’omonimo clan, che senza mezzi termini ha dichiarato: «L’ingresso dei Iannazzo nelle attività della famiglia Perri è stato successivo alla morte di Antonio Perri, alla sottrazione della bara avvenuta tra la fine del 2004 e gli inizi del 2005, e al recupero della salma, avvenuto nel 2008, in cui i Iannazzo ebbero un ruolo determinante».
NIENTE BARA, NIENTE PACE Pur di far saltare fuori quella bara trafugata – racconta Governa – nell’aprile 2006 si rifiutano addirittura di partecipare ad un vertice destinato alla definizione della pax mafiosa nel Lametino. «Fino a quando non esce fuori la salma di Antonio Perri – aveva detto in quell’occasione il capoclan allo stesso collaboratore – qui non ci sarà nessuna pace, anzi il primo che mette fuori la testa gliela tagliamo». Dichiarazioni che fanno il paio con quanto riferito dal pentito Giuseppe Giampà, per il quale «i Iannazzo avevano quale condizione all’accordo di pace un vero e proprio vincolo. In sostanza, essi non avrebbero partecipato a nessun accordo con le altre famiglie sino a che non fosse stata restituita la bara dell’imprenditore».
I RAPPORTI TRA L’IMPRENDITORE E IL CLAN Uno schieramento palese al fianco dei Perri che ha portato risultati immediati e concreti. In cambio, il clan sarebbe entrato a pieno titolo nelle società del gruppo, ed in più avrebbe iniziato a incassare il 30% degli utili del centro commerciale “I due mari”, che in precedenza aveva costruito. Ma – dicono gli inquirenti – Perri non è una vittima del clan, è un complice. Pecunia non olet e l’ombra di un clan in grado di mostrare i muscoli e assicurare l’ordine, val bene un socio scomodo.
L’ESERCITO PRIVATO Per l’imprenditore, il clan era utile. È a loro che si rivolge quando la catena Eurospin decide di aprire un suo supermercato a Lamezia, troppo vicino a quello di Perri. La richiesta è esplicita. Quell’attività non deve aprire. Si decide dunque di permettere la costruzione della struttura destinata ad ospitarla – e di riscuotere fino all’ultimo giorno di lavori il regolare pizzo – per poi distruggere tutto con un incendio. Solo l’ingerenza dei clan della Piana, da cui la Eurospin è “protetta” e un accordo a caro prezzo che implica il versamento di 30mila euro, più l’assunzione di manodopera convenuta, salva la struttura. Una circostanza che non modifica però il dato di base: per Perri, quello del clan Iannazzo sembra essere un esercito privato, sempre a disposizione. E non solo nel settore commerciale.
UNA LEZIONE PER IL FRATELLO Sarà lo stesso Franco Perri a chiedere al boss Vincenzino Iannazzo di “dare una lezione” al fratello. Al capoclan – spiega un altro collaboratore, Angelo Torcasio – ha chiesto «di gambizzare suo fratello Marco perché quest’ultimo faceva uso di cocaina, dilapidando troppi soldi quindi per dargli un avvertimento». Un tossicodipendente – aggiunge al riguardo il pentito Giampà – era anche un problema di “immagine” per la famiglia. Da risolvere con un “lavoretto” da diecimila euro. Ma questo – sebbene estremamente significativo – non è che uno degli episodi che inchiodano Perri al ruolo di compiacente socio in affari del clan
RAPPORTO SINALLAGMATICO Su suggerimento dei Iannazzo, Perri acquisisce attività commerciali come la concessionaria Fiat di Tripodi, seleziona i fornitori dei suoi supermercati e predilige alcune ditte, come la Veroni o il panificio San Giovanni, decide di costruire un villaggio turistico su un terreno a Gizzeria. Con il clan, scrive il gip, Perri è in rapporto sinallagmatico «tale da produrre vantaggi (ingiusti in quanto garantiti dall’apparato strumentale mafioso) per entrambi i contraenti e tale da consentire, in particolare, al primo di imporsi sul territorio in posizione dominante grazie all’ausilio del sodalizio il cui apparato intimidatorio si è reso disponibile a sostenere l’espansione degli affari, in cambio della sua disponibilità a fornire risorse, servizi o comunque utilità al sodalizio medesimo».
a. c.
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