di Pietro Bellantoni
E dunque i membri della delegazione reggina a Bruxelles stanno bene. Grazie a Dio, siamo contenti. L’apprensione iniziale, dopo le terribili notizie in arrivo dalla capitale d’Europa sotto attacco, si è dissolta quasi subito grazie alle tempestive comunicazioni – via social, via telefono, via sms, via Whatsapp – degli sfortunati – ma, Dio sia lodato, non troppo – protagonisti di questa triste trasferta. “Stiamo bene”, “Non siamo stati coinvolti”, “Ora siamo in albergo”. Sospiro di sollievo. Solo che poi i vari Castorina, Zimbalatti, Delfino, hanno pensato bene di insistere, di continuare a stuzzicare una presunta preoccupazione collettiva locale, attraverso report compulsivi, aggiornamenti real time, messaggi tranquillizzanti preventivi e non richiesti, dal momento che – già dalla mattina – chi era in pena per i delegati aveva avuto modo di tranquillizzarsi per la loro benevola sorte. Invece da questa drammatica vicenda è poi nata una sorta di fiction grottesca all’interno di un film tragico di suo, con i reggini intenti a recitare la parte di coloro che hanno toccato le trame della Storia e che, di conseguenza, sono quasi costretti ad atteggiarsi a eroi coraggiosi in fuga da un destino che, Dio sia ancora lodato, li ha scansati. Detto altrimenti, e brutalmente, si potrebbe dire che sfruttano l’eco delle bombe e dei pianti e della disperazione per una gretta pubblicità personale. È forse un dubbio ingeneroso? Salvini in queste ore viene, a torto o a ragione, etichettato come uno sciacallo intento a sfruttare gli attentati per fare propaganda. I reggini – fatta salva la loro inconsistenza sul piano della politica nazionale e comunitaria – non sono certo arrivati a tanto. Si sono fermati a uno step precedente, quello dei post minuto dopo minuto, delle foto all’interno dell’albergo-prigione, perfino dei video amatoriali per confermare, ancora e ancora, quel che tutti sanno da un pezzo: stanno bene, stanno bene, stanno bene. Impossibile non percepirlo come stucchevole, il loro atteggiamento in questi giorni di passione.
Con il sospetto, quasi naturalmente indotto, che molti fin lì anonimi delegati abbiano – consciamente o meno – cavalcato la paura generalizzata non per fare becera propaganda, ma per avere 15 minuti – anzi, più di 24 ore – di cupa celebrità.
Ora stanno tornando a casa, e speriamo si decidano a non parlarne più (ma prepariamoci ad altre interviste e ospitate in tv. Altro che rispettoso silenzio).
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