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TSUNAMI RENDE | Ascesa e caduta del Principe di Rende

RENDE «Un cerchio si è chiuso», dicono ora a Rende avversari e fedelissimi. L’arresto di Sandro Principe con le accuse di corruzione elettorale aggravata e concorso esterno in associazione mafiosa …

Pubblicato il: 23/03/2016 – 10:29
TSUNAMI RENDE | Ascesa e caduta del Principe di Rende

RENDE «Un cerchio si è chiuso», dicono ora a Rende avversari e fedelissimi. L’arresto di Sandro Principe con le accuse di corruzione elettorale aggravata e concorso esterno in associazione mafiosa segna (forse) l’ultima tappa di un dominio politico durato mezzo secolo. Già, perché il legame tra la città del Campagnano e la famiglia Principe è viscerale. Dici Rende e pensi ai Principe. Sandro impara a fare politica sotto la guida del padre, Cecchino, storico avversario di Giacomo Mancini nel Partito socialista, sindaco per quasi un trentennio di Rende oltre che sottosegretario e presidente della Regione negli anni Ottanta.
Cresce subito, Sandro. Scala posizioni all’interno del Psi, diventando uno dei maggiori azionisti della corrente craxiana. Tanto che nel 1987, a 38 anni, è già in Parlamento, eletto alla Camera col Garofano. Nella legislatura successiva viene rieletto a Montecitorio e coi governi Amato e Ciampi diventa sottosegretario al Lavoro. Negli anni di Tangentopoli il suo nome viene inserito in un’inchiesta condotta da magistrati reggini del calibro di Agostino Cordova e Nicola Gratteri. Durante una perquisizione i suoi santini elettorali vengono ritrovati in diverse abitazioni di ‘ndranghetisti della Piana di Gioia Tauro e della Locride. Tra le accuse rivolte a Principe c’è quella di aver “ricevuto” sostegno alle elezioni da parte delle cosche della Piana di Gioia Tauro. Agli atti ci sarebbero stati anche gli incontri con il presunto boss Marcello Pesce e la lettera di raccomandazione inviata per far ottenere l’esonero dal servizio militare a un pregiudicato. Ma è un ciclone giudiziario destinato a durare poco. Nel 1995 la Procura di Palmi chiede e ottiene per Principe l’archiviazione di tutte le accuse.
Le traversie giudiziarie non gli impediscono, comunque, di proseguire nell’impegno politico. Nel 1994 il leader rendese si candida (seguendo Amato) nella coalizione centrista “Patto per l’Italia”, non riuscendo nell’impresa di riconfermarsi.
Seguono anni di distanza dalle istituzioni, poi nel 1999 l’altra svolta: viene eletto sindaco di Rende al fotofinish, battendo Franco Casciaro, suo “storico” alleato.
Il 29 maggio 2004, nel corso della cerimonia di inaugurazione della chiesa di San Carlo Borromeo, e nel pieno della campagna elettorale per le amministrative, Principe rimane vittima di un gravissimo attentato. Un uomo, con evidenti problemi psichici, gli si avvicina e gli spara in faccia. Principe cade al suolo quasi morto, il killer viene braccato dalla folla e consegnato ai carabinieri. A Cosenza, quel giorno, per una pura casualità, c’è anche Massimo D’Alema. La notizia dell’attentato a Principe occupa le prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali, l’ex premier decide di restare in città per stare vicino alla famiglia dell’ex sottosegretario. Nella storia resterà un commosso abbraccio col padre Cecchino davanti al reparto di rianimazione dell’ospedale di Cosenza. Seguiranno mesi di cure intensive per Principe e una lunga riabilitazione al Careggi di Firenze. Costretto in ospedale con lo stato di salute fortemente compromesso, non partecipa alla campagna elettorale ma viene rieletto sindaco con il 78% dei consensi. L’anno successivo, il 2005, arriva in consiglio regionale grazie ad Agazio Loiero, che lo inserisce nel “listino” bloccato. Con la vittoria del centrosinistra viene nominato assessore alla Cultura, incarico che ricoprirà fino al 2007. Nel frattempo, dimessosi da sindaco di Rende, riesce a portare sulla poltrona di primo cittadino un suo fedelissimo, Umberto Bernaudo. C’è il suo marchio sulla vittoria al ballottaggio contro Mimmo Talarico, altro esponente del centrosinistra.
Nel 2010, alle regionali, si candida col Pd e viene eletto, diventando poi il capogruppo del Pd a Palazzo Campanella. L’anno successivo è tra i fautori dell’elezione a sindaco della città del Campagnano di Vittorio Cavalcanti. Ma è un’esperienza destinata a durare poco perché il primo cittadino si dimette anche per la troppa “ingerenza” di Principe nella gestione amministrativa. Al Comune, complici anche alcune operazioni della magistratura, arriva una commissione d’accesso che non determinerà lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. L’arrivo dei prefetti segna, in ogni caso, una ferita profonda nel rapporto tra Principe e Rende.
Quando Peppe Scopelliti si dimette e la Calabria torna al voto, i vertici del suo partito decidono di tagliarlo fuori dalle liste. È un colpo non da poco per uno dei fondatori del Pd in Calabria, da subito tra i più fedeli custodi dell’ortodossia renziana. Una sconfitta piccola se confrontata con quella patita nella “sua” Rende nel 2014. Il Comune, per la prima volta dal dopoguerra, non verrà più amministrato da personaggi politici riconducibili alla famiglia Principe. A vincere le elezioni è il penalista Marcello Manna, sostenuto da partiti del centrodestra.
Seguiranno mesi vissuti ai margini, qualche sporadica presenza a iniziative di partito ma niente di più. L’ultima apparizione pubblica il 10 marzo, in occasione della visita di Matteo Renzi e Luca Lotti a Cosenza. Adesso, giù il sipario.

Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it

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