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"L'area critica" e l'impotenza della politica

“L’area critica” di Costantino Fittante non è il triangolo delle Bermude. Neanche la stanza “1408” (il film di Mikael Hafstrom tratto da un racconto di Stephen King) che fa rabbrividire. È un’area …

Pubblicato il: 26/03/2016 – 9:49
"L'area critica" e l'impotenza della politica

“L’area critica” di Costantino Fittante non è il triangolo delle Bermude. Neanche la stanza “1408” (il film di Mikael Hafstrom tratto da un racconto di Stephen King) che fa rabbrividire. È un’area in cui i morti per mafia non sono rari, ma siccome sono fin troppo reali e non hanno ascendenti nella cinematografia ‘in’, l’horror non è il contrassegno dell’argomento a cui l’ex deputato comunista, oggi presidente del Centro “Riforme-Democrazia-Diritti”, ha dedicato un libro di 350 pagine. “L’area critica” altro non è che lo spazio, circondato da due mari, in cui un tempo s’adagiavano le due Calabrie nella stretta catena montuosa che dal Pollino corre fino alle Stretto. Ma è anche simbolo di un appuntamento mancato con la storia. Di un fallimento da riscattare, se non si vuole che tra la Calabria che guarda alla Sicilia e quella che lancia il cuore oltre il Pollino si consolidi il deserto che suggella la separazione.

DA “MISSILE PER LA CALABRIA” A VENTRE MOLLE Poteva essere, l’area centrale, la chiave per il lancio sulla luna del “missile” Calabria. Con le sue “irripetibili peculiarità”: la piana lametina, due grandi città a distanza di 30 chilometri, l’autostrada e la ferrovia, un aeroporto internazionale, due versanti, il tirrenico e lo ionico, la più grande area industriale del Mezzogiorno, un patrimonio agricolo, paesaggistico ed ambientale di valore, l’università, e le Serre e la Sila ad un tiro di schioppo. E invece è il ventre molle di una terra senza “visione lunga”. E dire che s’era incominciato bene con la pionieristica aggregazione dei comuni di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia nel (pensate un po’!) 1968. Oggi pare la profanazione di un totem mettere assieme persino due piccoli comuni, 48 anni or sono s’inaugurò la terza città più popolosa della Calabria. Tuttavia, dopo l’inizio sfavillante sono sopraggiunti tempi meschini. Da area su cui s’erano appuntate “Grandi Speranze”, lo spazio centrale della Calabria degrada ad “area critica” di cui si ragiona da mezzo secolo. Senza averne cavato niente. Ripercorre, in lungo e in largo, la storia di quest’incompiuta e parte da lontano, Costantino Fittante, fin prima della nascita dell’Istituzione Regione, quando ancora il capoluogo (mai formalizzato) era Reggio Calabria: la città con più abitanti. Perché l’area centrale non ha dato l’occasione alla Calabria di fare la mossa del cavallo, permettendole di saltare a Nord la barriera del Pollino e, portandosi appresso il suo Sud affacciato sullo Stretto, mescolarsi con il resto dell’Italia? O, più verosimilmente: perché non s’è mai potuto vedere nella parte più stretta e “strategica” un polo d’attrazione funzionale? Una vera area metropolitana?

POLITICA ACCENTRATRICE A CATANZARO E VITTIMISTICA A LAMEZIA Dunque, come sempre, le ragioni sono tante, ma Fittante va giù liscio e all’interrogativo risponde così: “Per l’indiscutibile pratica accentratrice dei gruppi dirigenti di governo catanzaresi e per l’ostentato atteggiamento vittimistico dei lametini”. Sull’asse dell’istmo, per capirci, le chiacchiere tante. A volte anche feconde, “ma fino agli anni ’60”, e poi inequivocabilmente rivelatrici del male oscuro della Calabria: l’assenza di un disegno. O, quando il disegno s’è abbozzato, l’inconcludenza della politica, per il prevalere degli appetiti curtensi. Si giunge alla primavera del 1970 con la pacificazione del “Pacchetto Colombo” e l’elezione del Consiglio regionale con cui si archivia la stagione dei ‘boia chi molla’ e si assegna a Reggio e Catanzaro un pezzo di Regione cadauno e a Cosenza l’Università. Di lì in avanti, per Lamezia, centro dell’area centrale, è vita grama e recriminazioni, crescita disordinata e mafia. Per Catanzaro, un rigonfiamento sui colli con allungo a Nord e l’abbandono della marina, fin quando la pochezza delle sue classi dirigenti sarà ripagata con le derive centrifughe dei giorni nostri, la desertificazione del centro storico e la crescita incontrollata delle periferie.

PERCHÉ FALLISCE IL PROGETTO DELL’AREA CENTRALE Ripiegate su se stesse, le due città hanno toppato. Nell’impedire la grandeur dell’area centrale, si sono ridotte a luoghi marginali: inadeguati a cogliere le spinte innovative della società civile e prive di una visione del futuro. Vivacchiano all’insegna di un pressappochismo che sta erodendo le identità culturali e il giacimento di tradizioni civiche, abilità e competenze maturate nel “secolo breve”. Il “j’accuse” di Fittante è il leitmotiv del libro: il progetto d’impianto di un’area centrale da cui guardare alla Calabria come ad un insieme di territori differenziati ma da valorizzare in una cornice unitaria e sinergica, è fallito per la miopia di chi ha governato le due città. Bocciate le classi dirigenti lametine, perché “chiuse e presuntuose”. Ritenevano, infatti, che tutto gli fosse dovuto vista la centralità geografica della città, ma, afflitte “dai vizi del trasformismo e della precarietà amministrativa”, non hanno “mai avuto peso e capacità di influenzare gli orientamenti politici dei gruppi di potere regionali”; e bocciate quelle catanzaresi, perché incapaci “di svolgere il ruolo di guida dell’area dell’istmo dei Due mari”.

TUTTI I TENTATIVI ANDATI A VUOTO Nel corso dei decenni, però, i tentativi per vincere le resistenze non sono mancati. Naturalmente collezionando insuccessi. Nel libro sono passati in rassegna, uno per uno e attentamente argomentati. Si va dal “Patto per lo sviluppo dell’area dei Due Mari”, sottoscritto dai presidenti di Regione e Provincia pro tempore, on. Agazio Loiero e Wanda Ferro, e dai sindaci Rosario Olivo (Catanzaro) e Gianni Speranza (Lamezia), ai “Piani strategici” adottati dalle due città che contengono gli elementi per la direttrice di sviluppo integrato Ionio-Tirreno, “vanificati però – chiosa Fittante – dai mancati interventi della Giunta regionale di centrodestra”, al “Piano di coordinamento provinciale” adottato dalla Provincia, per finire con l’articolo 4 del nuovo statuto della Provincia che individua nell’Area Vasta dell’istmo Catanzaro-Lamezia il polo di interesse strategico regionale. Tutto ad un tratto, oggi l’area centrale riprende a suscitare interessi. Se ne avverte nuovamente il bisogno. Cosenza-Rende-Castrolibero da tempo discutono di unificazione per battezzare la “grande Cosenza”. Fittante ricorda che le Province di Cosenza, Salerno e Potenza hanno stretto una collaborazione per la nascita di un’area forte inclusiva del golfo di Policastro, l’alto Tirreno cosentino, la piana di Sibari e il massiccio del Pollino.
A Sud si lavora per la città metropolitana dello Stretto. L’area centrale dormiente, a fronte di questi nuovi assetti territoriali ed istituzionali, rischia di diventare, anziché l’elemento di saldatura, la linea di frattura delle due Calabrie. Le riflessioni e i materiali del ponderoso lavoro di Fittante, possono, dunque, essere assai utili per una discussione finalmente utile. Deve sconfiggere immobilismi e chiusure localistiche, l’area centrale, se intende provare a unire. Per avere voce in capitolo, però, “deve realizzare servizi ed infrastrutture di grande livello, essere sede di funzioni regionali e interregionali moderne ed efficienti, essere area di produzioni agricole e industriali per una domanda interna ed esterna alla regione, avere insediamenti e attività culturali e scolastiche qualificate e una rete sanitaria d’eccellenza”. Al momento, da area centrale e/o area guida, l’area baricentrica della Calabria è assurta ad “Area vasta”. E via con dichiarazioni stampa, interviste e convegni. Sia pure “area vasta”, un neologismo che in verità non affascina, ma che almeno si muova qualcosa.
Sempre che non si creda che, mutando la terminologia, si possa, ancora una volta, incassare consenso elettorale e gabbare il santo. In questo caso, l’area in questione, come s’intuisce bene dall’emblematico titolo del libro, tornerebbe ad essere “area critica”. Ossia il male di sempre di una politica fragile e di classi di
rigenti senza l’intelligenza di indirizzare il corso degli eventi.

*Giornalista

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