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La violenza su Anna Maria rivive a teatro

REGGIO CALABRIA «Le parole rimbalzano sui muri. Le voci, prima tutte insieme, poi una alla volta si infilano sotto la porta e dicono: “Vai via, puttana, via”». È già nell’incipit che “Gramigna” – s…

Pubblicato il: 26/03/2016 – 13:00
La violenza su Anna Maria rivive a teatro

REGGIO CALABRIA «Le parole rimbalzano sui muri. Le voci, prima tutte insieme, poi una alla volta si infilano sotto la porta e dicono: “Vai via, puttana, via”». È già nell’incipit che “Gramigna” – spettacolo andato in scena venerdì sera al “Teatro della Girandola” di Reggio Calabria, scritto e diretto da Santo Nicito, con Angela Ieracitano e Cristina Merenda e prodotto dalla Compagnia Pagliacci Clandestini – entra in medias res: ci si trova davanti alla violenza; ora tocca ricomporre l’intreccio.
La donna oggetto di insulti è chiusa tra quattro cubi bianchi; si muove, come in una danza, senza poterne mai uscire. Dritta al lato della struttura, una ragazza esile le scaglia addosso parole cariche d’odio: «Certo Cetty che potevi pure chiuderle le gambe».
La voce è quella dell’opinione pubblica di San Martino, piccola frazione del Comune di Taurianova in cui Cetty, giovane ragazza di tredici anni vive. Siamo in Calabria nel 1999. L’adolescente Concetta sogna un amore eterno che crede di aver trovato in Antonio, ragazzo del posto più grande di lei. Ma il tutto diventa incubo, quando lo stesso porta la ragazza in un casolare in cui un gruppo di uomini abusa di lei. Questa storia non nasce dalla fantasia dell’autore. È una vicenda vera, che ha interessato la Calabria e che ha avuto il volto di Anna Maria Scarfò, violentata per tre anni dai suoi aguzzini. Qui, Anna Maria – interpretata da Angela Ieracitano – ha cambiato nome. Santo Nicito ha studiato a lungo la sua storia, affidandosi anche alle pagine di “Malanova”, libro scritto dalla Scarfò e dalla giornalista Cristina Zagaria.
È una narrazione che si svela a tappe: parte dall’ingenua voce di Concetta che ricorda il momento esatto in cui vide il suo Antonio: il cuore che batte in gola; le mani sudate; la fantasia di vedersi col velo bianco all’altare. Gli incontri in Chiesa e quella promessa di fare un giro in macchina. Cristina Merenda – che presta il volto agli altri personaggi e a Concetta adulta – entra in scena con uno specchio. Di spalle, le due attrici lo sorreggono e guardandosi raccontano l’accaduto. Ma sarà verso l’esterno che punteranno la sua accecante verità. Durante lo spettacolo, due sono stati i momenti in cui si percepiva di più la totale partecipazione del pubblico: lo stupro e i tre anni successivi a esso. L’autore, ovviando alla crudeltà della immagini e sottraendo a esse anche la parola, ha affidato il tutto alle musiche e alle abilità performative delle due interpreti.
Gli abusi e le percosse sono facilmente riscontrabili nel corpo che – sotto l’effetto della musica – si contorce, sbatte, s’alza in aria. L’immagine non ha bisogno di tempo per essere decifrata: la violenza carnale c’è e noi ne siamo testimoni. Nell’altro caso, Nicito accosta il calvario degli stupri durato tre anni alla corrida: il toro consapevole del suo destino, spera che il tutto finisca il prima possibile. Nell’immobilità del corpo, il torero copre Cetty con un lungo velo bianco. La ragazza, nel rialzarsi, lo avvolge tra le braccia e ne fa un fagotto. È la sua maternità compromessa per sempre, conseguenza di un corpo martoriato da troppo tempo.
Solo dopo tre anni di violenze e di fronte alla richiesta di Antonio di coinvolgere la sorella più piccola in questo gioco perverso, Cetty trova la forza di ribellarsi e denunciare tutto ai carabinieri «uomini che mi salvano da altri uomini». La notte tra l’11 e il 12 novembre 2002, sei persone vengono arrestate. Tanti fogli di giornali quante sono le date del processo volano sul proscenio. «A trent’anni per la prima volta, ho la mia verità».
Una tarantella liberatoria e si conclude: «la storia della puttana che aveva 13 anni». In questa storia sono due le violenze subìte: quella del branco e quella della comunità, che ha condannando la donna e la sua famiglia a vivere da reietti. Frati e suore compresi, perché in un primo momento e in preda alla paura, la giovane aveva affidato la sua verità al prete del paese che l’aveva licenziata con un «forse hai capito male». In chiusura, ci si affida al pensiero di Franca Rame: «Siamo streghe perché i roghi esistono ancora», ma – stavolta – «non ci finiremo più dentro».
Un ricercato lavoro di regia ha saputo rispettare la storia di Anna Maria Scarfò contando sulla bravura delle due interpreti che, con uno studiato controllo del corpo, hanno reso il lavoro possibile. Gramigna, sarà in programmazione anche stasera e avrà un debutto extraregionale il 1° aprile al “Teatro Morgagni” di Roma.

Miriam Guinea
redazione@corrierecal.it

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