REGGIO CALABRIA È in un clima di piena escalation criminale che la delegazione della commissione parlamentare antimafia è approdata oggi a Reggio Calabria per la sua terza missione. Solo due giorni fa, un imprenditore edile è stato ferito alla testa presumibilmente da un cecchino – ipotizzano gli investigatori ¬ – che si è appostato in un edificio abbandonato con un fucile di precisione. Ma questo non è che l’ultimo di un rosario di fatti di sangue e violenza che da mesi si sgrana a Reggio.
EMERGENZA CRIMINALE Una situazione – afferma la presidente della commissione Rosy Bindi «che indubbiamente è da attribuire al fatto che l’azione repressiva dello Stato non lascia tregua alle organizzazioni criminali. Con il ritorno ad atti di violenza, la ‘ndrangheta vuole dimostrare che esiste ancora». I risultati ottenuti da magistratura e forze dell’ordine sono estremamente importanti, anche il maggior numero di collaboratori – sostiene la presidente – «dimostra che c’è una maggiore consapevolezza che la ‘ndrangheta non sarà mai il futuro di questa terra». Ma la sconfitta delle ‘ndrine – data forse un po’ troppo per semplice, scontata e immediata dal ministro Angelino Alfano, non più tardi di qualche mese fa – anche per la Bindi è ancora lontana. «Qui – chiarisce il vicepresidente Claudio Fava – c’è un’emergenza particolarmente preoccupante per la particolare qualità del lavoro che qui stanno facendo le istituzioni».
PAREGGIO Magistratura, prefettura, forze dell’ordine, per Fava stanno dimostrando che a Reggio Calabria «lo Stato c’è, si mostra, dimostra di esserci, ma al tempo stesso la capacità di resistenza, la pervasività della ‘ndrangheta, l’abilità dei clan nel trovare nuove forme, nuovi spazi, nuovi strumenti resta, se non inalterata, quasi». Di fronte ai parlamentari della commissione, il procuratore aggiunto Nicola Gratteri ha parlato di pareggio fra le ‘ndrine e lo Stato. Una metafora calcistica che per il numero due dei parlamentari antimafia «non è così lontana dalla verità». Al riguardo – dice quasi con sconforto – basta vedere quanto succeda nei Comuni sciolti per mafia, dove emerge – in modo quasi ecumenico – «la fatica a riportare un senso minimo di legalità in alcuni territori, la difficoltà a bonificare la politica e le amministrazioni, dall’attenzione e dalla pervasività della ‘ndrangheta».
CARENZE PIU’ VOLTE DENUNCIATE Un compito arduo, che diventa quasi impensabile da sostenere con gli strumenti che le istituzioni di Reggio Calabria hanno a disposizione. «I mezzi con cui gli uffici giudiziari fanno fronte a questa emergenza sono fonte di preoccupazione e di imbarazzo» afferma senza mezzi termini Fava, toccando un punto dolente per investigatori ed inquirenti reggini. Fin dai primi mesi del suo insediamento, il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho non ha perso occasione per lanciare l’allarme sull’esiguità di uomini e mezzi a disposizione. Da allora, più volte governo e Csm sono stati messi di fronte a un’emergenza con il passare dei mesi diventata allarmante. Lo hanno fatto il procuratore aggiunto Nicola Gratteri e il pm Giuseppe Lombardo quando sono stati consultati per le – più volte messe in cantiere quindi archiviate in sconosciuti cassetti – riforme della giustizia. Lo hanno fatto gli altri pm della Dda reggina chiamati a più riprese a relazionare in sede parlamentare. Il grido di dolore dei magistrati reggini è stato anche fatto proprio dal gup Piergiorgio Morosini, che come delegato del Csm all’inaugurazione dell’anno giudiziario ha sottolineato la necessità di adeguare gli organici alla densità criminale e non abitativa dei territori.
«ORGANICI IMBARAZZANTI» Ma fino ad oggi, il cahier de doleance dei magistrati reggini è rimasto lettera morta. Oggi la commissione sembra invece voler assumere l’impegno di mettere governo e Csm di fronte allo stato di cose. E alle proprie responsabilità. «Per la prima volta abbiamo voluto sentire il presidente del Tribunale e dell’ufficio gip perché questo è un problema vero e non mancheremo di farlo presente nelle sedi proprie» annuncia la presidente Bindi. «È evidente – sottolinea – che combattere la ‘ndrangheta vuol dire mettere lo Stato nelle condizioni di farlo». Sulla stessa linea, il vicepresidente Fava, che aggiunge «se una grande sfida va assunta dalle istituzioni, dallo Stato e dal Governo, la sfida deve partire da Reggio Calabria, perché siamo nella siamo nella capitale morale e materiale della più pericolosa organizzazione criminale che ci sia sul pianeta. Siamo in presenza di una forte azione dello Stato, ma siamo allo stesso tempo in una posizione di oggettiva debolezza. Per cui se c’è da investire, che si investa qui e lo si faccia adesso». E sull’impegno della commissione è netto.
RESPONSABILITA’ «Credo che i tempi siano maturi per investire su Reggio Calabria, credo che questo sia il dovere di qualsiasi governo e questa è la responsabilità che si assume la commissione parlamentare antimafia nei confronti del Consiglio superiore della magistratura, nei confronti del ministero della Giustizia . Non possiamo consentire oltre che gli uffici giudiziari di Reggio siano dinanzi ad una mole così grave, importante pesante di lavoro con gli stessi organici di città che hanno emergenze ben lontane da Reggio Calabria». Ma il futuro della città e della regione non può essere affidato esclusivamente ad arresti, operazioni, processi e sentenze. «L’azione repressiva dello Stato – chiarisce Bindi – non sarà mai sufficiente. Fin quando saremo costretti a celebrare gli eroi, non avremo mai vinto la ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta la sconfiggeremo il giorno in cui ogni cittadino farà il suo dovere ed è evidentemente a Reggio non per tutti è così. Se la ndrangheta è ancora così forte, è perché in troppi pensano ancora che sia il loro futuro»
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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