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«Ecco l'organigramma del clan Rango-Zingari»

COSENZA La cosca aveva un organigramma ben strutturato e verticistico. Dettagliata e precisa la descrizione del clan Rango-Zingari fatta ai giudici del Tribunale di Cosenza dal maggiore dei carabin…

Pubblicato il: 31/03/2016 – 16:48
«Ecco l'organigramma del clan Rango-Zingari»

COSENZA La cosca aveva un organigramma ben strutturato e verticistico. Dettagliata e precisa la descrizione del clan Rango-Zingari fatta ai giudici del Tribunale di Cosenza dal maggiore dei carabinieri Michele Borrelli. Il comandante del Nucleo investigativo è stato ascoltato, giovedì pomeriggio, come testimone della Procura nel processo contro i presunti affiliati alla cosca cosentina Rango-Zingari, che dominava il territorio soprattutto attraverso lo spaccio di droga e le estorsioni. Sul banco degli imputati, che hanno scelto il rito ordinario, ci sono Franco Bruzzese, Daniele Lamanna, Francesco Vulcano, Antonio Chianello, Alessio Chianello, Stefano Carolei, Gianluca Cinelli, Gianluca Marsico, Sharon Intrieri, Jenny Intrieri, Anna Abbruzzese e Giovanni Fiore.
Daniele Lamanna, ristretto in regime di 41 bis, era collegato in videoconferenza e alla fine ha rilasciato anche dichiarazioni spontanee. Secondo l’accusa, gli imputati avrebbero fatto parte del clan Rango-Zingari al cui vertice ci sarebbe Maurizio Rango. La cosca, nel tempo, avrebbe stretto alleanze con altre due consorterie criminali attive nel Cosentino, la cosca Lanzino-Patitucci e Perna-Cicero-Musacco-Castiglia. L’associazione – sempre secondo l’inchiesta – avrebbe gestito il racket delle estorsioni imponendo il pizzo anche mediante la violenza.

LA DEPOSIZIONE DEL MAGGIORE Il comandante del Nucleo investigativo ha ricostruito le indagini condotte sin dal suo arrivo a Cosenza, che hanno preso il via dalla disarticolazione della cosca dei Serpa di Paola e le ripercussioni che questo ha avuto nella compagine cosentina divisa tra italiani e zingari. Lo spartiacque è stato rappresentato dalla morte di Michele Bruni (presunto boss del clan “Bella bella”) avvenuta per cause naturali e poi dall’omicidio di Luca Bruni, il cui cadavere è stato ritrovato nel 2014 grazie alle rivelazioni del pentito Adolfo Foggetti. Il maggiore dei carabinieri ha ribadito l’esistenza di un «patto federativo incentrato su un accordo di programma tra gli zingari e gli italiani. Che prevedeva – ha detto rispondendo a una domanda del pm della Dda Pierpaolo Bruni – un’unica bacinella che condensava i proventi derivanti da due settori: quello delle attività estorsive e quello dello spaccio di sostanze stupefacenti». C’era una «visione monopolistica dell’attività di rifornimento e di spaccio». E i «promotori dell’organizzazione pensavano al sostentamento dei sodali liberi e di quelli detenuti». Borrelli ha spiegato la struttura della complessa indagine che ha sferrato un duro colpo alle ‘ndrine del Cosentino: «È suddivisa in tre tronconi». Si parte con l’operazione che il 1 novembre 2014 ha permesso di disarticolare i vertici del clan Rango-Zingari. «Uno dei promotori della cosca, Adolfo Foggetti – ha specificato Borrelli al collegio – è stato individuato come referente del clan a Paola. Maurizio Rango ha, poi, assunto la reggenza. Ettore Sottile era ritenuto il contabile del sodalizio cosentino: infatti dopo il suo arresto ci saranno evoluzioni in tal senso. Ci sono soggetti deputati alle estorsioni e soggetti impegnati nello spaccio di droga sempre con regime monopolistico tanto che i riottosi venivano “contrastati”. La struttura di Paola vedeva emergere le figure di Adolfo Foggetti e Antonio Imbroinise detto “ciap ciap”».

L’ORGANIGRAMMA DELLA COSCA Un organigramma ben definito in cui emergevano rapporti familiari: «La convivente di Adolfo Foggetti apparteneva a una delle famiglie di spicco di Paola. C’era già una sorta di patto tra i Serpa e i Bruni. Dopo che le organizzazioni vennero disarticolate con le operazioni la situazione cambia. Ecco perché Adolfo Foggetti ha avuto gioco facile a inserirsi in un gruppo di emergenti. Antonio Abbruzzese, detto Tonino Banana, gestiva lo spaccio. A tutta la famiglia dei “Banana” veniva dato incarico per l’approvvigionamento dell’eroina». Il maggiore dei carabinieri ha parlato della caratura criminale di Daniele Lamanna, accusato delle estorsioni ma anche dell’omicidio di Luca Bruni per il quale è sotto processo in Corte d’Assise. Ruolo che Borrelli – su domanda del pm – ha spiegato: «Lamanna è stato l’esecutore materiale dell’omicidio Bruni». Il comandante del Nucleo investigativo ha precisato, inoltre, la «funzione» di Gennaro Presta («era tra i promotori del gruppo») e ha parlato delle intimidazioni agli amministratori di Marano Marchesato. Per quegli attentati venne arrestato, tra gli altri, Domenico Mignolo che ha sposato Sharon Intrieri (imputata in questo procedimento) e figlia di Antonio Intrieri, ritenuto dagli inquirenti un affiliato al clan. Borrelli ha parlato dei rapporti di parentela tra Mignolo e Intrieri e del legame tra Domenico Mignolo e Maurizio Rango: «In un’intercettazione emerge che Rango considerava Mignolo un suo pupillo. Sulla vicinanza di Mignolo a Rango sono stato testimone di un episodio specifico: il 15 ottobre del 2014 (giorno dell’arresto di Mignolo per i fatti di Marano Marchesato, ndr) mi trovavo vicino al carcere di Cosenza e sotto il muro di cinta c’erano Danilo Bevilacqua e Maurizio Rango che chiamavano “Domenico” questo avvenne qualche ora dopo il suo arresto».
Rispondendo alle domande del collegio difensivo, il maggiore ha precisato che quel «Domenico» era proprio Mignolo sia perché erano lì alcune ore dopo il suo arresto e la circostanza che a chiamarlo fosse proprio Rango venne confermata da intercettazioni in carcere». Le circostanze riferite da Borrelli derivano – ha precisato il maggiore – da intercettazioni, da dichiarazioni dei pentiti e da altre attività investigative. «Sono i collaboratori di giustizia – ha detto ancora il comandante – a spiegare come i proventi delle attività illecite venivano ripartite tra gli italiani (il 60%) e gli zingari (40%)».

LA TESTIMONIANZA DELLE VITTIME A salire sul banco dei testimoni sono stati poi due commercianti, padre e figlio, gestori di una pizzeria a Cosenza. In particolare, il figlio ha riferito dei contrasti con Daniele Lamanna che abitava nei pressi. Il giovane ha raccontato ai giudici di continue richieste di denaro da parte di persone ritenute vicine alla cosca alle quali lui – in un primo momento – si è sempre opposto. L’imprenditore ha parlato dei diverbi con Lamanna e con i familiari per il posto macchina nel parcheggio adiacente la pizzeria. Richieste e litigi che avvengono fino a quando, nel giugno 2013, accadde qualcosa: un sabato sera diversi colpi di pistola sono stati esplosi contro le vetrate della pizzeria qualche ora prima dell’apertura. Dopo quell’episodio i gestori decidono di pagare il pizzo: ben sedicimila euro divisi in alcune tranche. «Lamanna – ha detto il figlio del proprietario – mi intimoriva per la questione del parcheggio». Ma, rispondendo alle domande del difensore di Lamanna, l’avvocato Aldo Cribari, il commerciante ha precisato che Lamanna non lo ha mai minacciato e che quando è andato in pizzeria ha sempre pagato». Nei giorni successivi alla sparatoria Daniele Lamanna sarebbe andato a mangiare nel locale e avrebbe sussurrato – ha detto la vittima ai giudici –: «hai visto che cosa è successo?». Il padre ha poi raccontato un episodio in particolare in cui sarebbe stato aggredito dalla moglie e dal suocero di Lamanna sempre per la questione del parcheggio. In aula, a sostegno delle due vittime, c’era anche Alessio Cassano, presidente dell’associazione antiracket di Cosenza dedicata a Lucio Ferrami, imprenditore vittima del racket. 

LE PRECISAZIONI DI LAMANNA Dopo queste due testimonianze, Lamanna – collegato in videoconferenza – ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee: «Come si fa a dire che la mia casa fosse frequentata da gentaglia? Mi veniva a trovare la mia famiglia e alcune volte qualche amico. Questa presentazione è molto poco credibile. Voglio precisare che mio suocero e mia moglie non sono mai stati aggressivi con nessuno, neanche in quella circostanza. Neppure io. In quel caso specifico ho re
agito con un po’ di esuberanza perché mi dava fastidio non poter usufruire di un parcheggio di mia proprietà». Il processo è stato aggiornato al prossimo 28 aprile per sentire altri testimoni della Procura.

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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