COSENZA È stata fissata il prossimo 14 aprile l’udienza davanti al Tdl di Catanzaro per Giovanna Leonetti. Perché la biologa cosentina – accusata di aver ucciso la figlia di appena sette mesi lo scorso 20 febbraio – potrebbe fuggire e «commettere gesti autolesivi». Sono queste le motivazioni per le quali la Procura di Cosenza ha presentato appello al Tribunale del Riesame contro la decisione del gip di mettere la 37enne agli arresti domiciliari. La giovane dal giorno della tragedia si trova ricoverata nel reparto di Psichiatria dell’ospedale “Annunziata” ed è sottoposta a cure specifiche perché affetta da depressione post partum. Per gli inquirenti – le indagini sono coordinate dal procuratore aggiunto Marisa Manzini e condotte dal sostituto Domenico Frascino – «non si può ritenere tranquillizzante la somministrazione di un’adeguata terapia mirata» perché quando ha compiuto il grave gesto era in «cura da diverso tempo, anche farmacologica».
Ecco perché «l’unica misura davvero adeguata – è scritto nell’appello della Procura – in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari che il gip ha ravvisato, è la misura cautelare in carcere». Per i magistrati è possibile applicare tale misura perché allo stato le condizioni della donna non risultano incompatibili con il regime carcerario. Anche perché esistono – mettono nero su bianco gli inquirenti – penitenziari con strutture psichiatriche idonee alla somministrazione di cure specifiche. Assunto respinto dal suo difensore, l’avvocato Marcello Manna che ha acquisito la cartella clinica della donna per valutare attentamente le condizioni di salute della giovane mamma.
LA RICOSTRUZIONE DELLA TRAGEDIA La tragedia si è consumata tra le undici e le dodici di sabato 20 febbraio. La donna che abita al terzo piano di una palazzina, situata in una traversa di corso Mazzini, prima era scesa con la bimba nell’appartamento della mamma, che sta al primo piano. Verso le 12:24 il marito riceve una telefonata da Giovanna che «con la voce impastata» gli dice di scendere giù al secondo piano a casa della zia, che in questi giorni era fuori Cosenza e aveva lasciato le chiavi di casa alla nipote. Luberto, appena arrivato al secondo piano, ha trovato la porta socchiusa.
«Era tutto buio – ha raccontato il marito ai magistrati –. La chiamavo e Giovanna mi diceva che era nella prima stanza da letto della zia. La stanza era buia. Non riuscivo a trovare la luce. Giovanna era distesa sul letto e accanto ho visto il corpicino di mia figlia con un cuscino sul volto. Appena ho tolto il cuscino dal viso di mia figlia, Giovanna mi diceva “ho risolto tutto, ho preso dei farmaci”. Io disperato cercavo di rianimare mia figlia sul letto anche con un massaggio cardiaco. Ma visto che la bimba non reagiva scendevo dal secondo al primo piano dove abita mia suocera che era con la badante». I magistrati stanno seguendo l’attività investigativa con estrema cautela e attenzione data la delicatezza del caso. Tanti, ancora, gli aspetti da chiarire e da valutare. In particolare, bisognerà approfondire le condizioni di salute della donna.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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