Le vecchie malinconie. Ricordo che da ragazzino assumevo, dai racconti della mia e dell’altrui nonna, le sensazioni di dolore delle donne del sud, autentiche vedove da emigrazione. Uno status che succedeva, solo in ordine di tempo, a quello più popolare che caratterizzava la vedovanza di guerra, di frequente con orfani al seguito. In pochi, allora, comprendevamo l’equivalenza delle sofferenze vissute in entrambe le situazioni, forse perché portati a valutare maggiormente lo stato vedovile puro, conseguente alla morte del coniuge passato nel regno degli eroi con la dovuta onorificenza e il privilegio occupazionale per un figlio superstite.
Tanto era la povertà diffusa, che nessuno valutava, così come invece si sarebbe dovuto, le tante donne del sud con coniuge all’estero per bisogno assoluto, costrette a sopportare i disagi della solitudine e, spesso, ossessionate dal risparmio assoluto finalizzato ad alzare i muri della casa quando c’era ovvero a costruirla. Questo era, infatti, l’unico obiettivo di chi abbandonava casa (spesso, solo per dire!), la terra e, soprattutto, i propri cari per subire umiliazioni in quell’estero, lontano settimane di mare, che tuttavia si dimostrò ospitale. Molto di più ricettivo di come noi ci poniamo nei confronti dei “poveri” che scappano per guerra ovvero per gli stessi motivi per i quali i nonni di tanti di noi trovarono nelle Americhe la soluzione alla loro povertà.
Le nuove malinconie. Oggi, nella civiltà dei nipoti, meglio nell’epoca nella quale i discendenti degli esuli per lavoro di ieri hanno goduto di maggior favori assicurati dal clientelismo imperante, che ha saccheggiato il denaro pubblico, si registrano le rinnovate sensazioni di dolore delle madri (ma anche dei padri) del sud. Delle generazioni successive di quelle che furono le nonne di un tempo, alle cui tristezze furono in tanti nipoti ad assistere, figli delle madri e dei padri che rappresentano i sofferenti più attuali. Una rinnovata sensazione di dolore causata anch’essa dall’emigrazione per lavoro, ancorché in condizioni culturali diverse da quelle di ieri. Invero, al bisogno vitale si è sostituito quello occupazionale, che fa in modo che i giovani intellettuali di oggi, ma non solo, lasciano i loro genitori (con qualche nonno testimone dei comuni disastri) a presidio di quelle case, spesso costruite con i denari guadagnati dai nonni, per cercare altrove il naturale riscontro ai loro studi, di frequente brillanti, e il necessario economico per vivere. Una beffa della quale in tanti si stanno via via rendendo conto, lasciati da soli nella cura delle loro dimore e/o nella gestione delle loro piccole aziende destinate alla chiusura, per sopravvenuta assenza dell’imprenditore. Insomma, una realtà che cambia nei suoi fondamentali, rappresentati dai giovani che, rispetto a quelli di ieri, non solidarizzano – per necessità – con le esigenze dei genitori, così come fecero questi ultimi con i nonni di allora.
Insomma, dall’immigrazione dei padri si è passati a quella dei nipoti che, tra l’altro, si trovano ad essere meno ricchi dei genitori, che furono più ricchi dei loro padri (i nonni). In sintesi, una devastazione generazionale (quella dei giovani) in termini di lavoro e previdenza; una strage dei diritti sociali per chi ne ha acquisito la titolarità.
Risultato: a) gli anziani che nessuno sa neppure quanti siano; b) l’esercito di badanti attori del nuovo welfare; c) una sconcertante scomparsa dell’offerta di lavoro; d) un progressivo incremento delle saracinesche abbassate; e) le speranze delle famiglie che vanno “in ferie” definitivamente.
Questo è ciò che accade dalle nostre parti, nei confronti del quale la politica delle chiacchiere e dell’esibizione estrema fa da cinico spettatore ai dolori e alla solitudine dei pezzi di famiglia che restano e da regista alle nuove emigrazioni che spogliano il Mezzogiorno delle intelligenze che arricchiscono l’altrove.
*docente Unical
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