VIBO VALENTIA L’inchiesta della Procura di Vibo è partita dopo che, lo scorso 15 gennaio, in via Parisi si è aperta una paurosa voragine che per qualche giorno ha tagliato in due la città. Ma la situazione fotografata dalle indagini condotte dagli uomini della sezione di Polizia giudiziaria Ambiente e territorio e del Cfs (assieme ai Vigili del fuoco) è molto più ampia, tanto da indurre il pm Filomena Aliberti e il procuratore Mario Spagnuolo (nella foto in basso la conferenza stampa in Procura) a disporre un sequestro preventivo d’urgenza di parte della rete fognaria cittadina e a imporre una serie di prescrizioni al sindaco di Vibo, Elio Costa, nominato amministratore giudiziario delle condotte sequestrate. Al momento non è stato reso noto se ci siano indagati, ma gli inquirenti hanno riscontrato diverse ipotesi di reato: danneggiamento, getto pericoloso di cose, violazione delle disposizioni in materia ambientale e scarico di acque senza autorizzazioni in concorso. «Quel che occorre sottolineare – hanno specificato gli inquirenti – è che il fenomeno di grave deterioramento del sistema fognario, interagisce con movimenti franosi e con l’intrinseca debolezza di un territorio il cui assetto idrogeologico appare piuttosto compromesso, per come già emerso in precedenti indagini svolte dalla Procura».
LA VORAGINE Quanto è accaduto in via Parisi sarebbe dovuto al cedimento di un antico cunicolo «sfruttato incontrollatamente – si legge nel decreto di sequestro – come canale di scolo delle acque reflue urbane». Si trattava, come avrebbero accertato poco dopo gli inquirenti grazie alle analisi dell’Arpacal, proprio di reflui fognari, di cui però il responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune non ha saputo specificare lo sbocco. Quindi si è cominciato a perlustrare la zona a valle, in particolare l’area del piazzale delle ex Ferrovie Calabro Lucane e del fosso Sant’Anna, e si è cominciato a delineare quello che la Procura definisce «il quadro di drammaticità in cui versa la rete fognaria». Le indagini hanno portato gli inquirenti a sostenere che «le acque delle pubbliche fognature a sistema misto del Comune di Vibo vengono sversate nei corsi d’acqua naturali, in particolare nel fosso Sant’Anna, e, quindi, nelle acque costiere, nonché direttamente sul suolo, senza la prescritta autorizzazione, e comunque tramite scaricatori di piena (non autorizzati) non dimensionati ai sensi di legge». E in uno degli scarichi non autorizzati le analisi dell’Arpacal hanno riscontrato la presenza anche di metalli pesanti, in particolare mercurio e ferro.
«È COSÌ DA 30 ANNI» Gli agenti della Polizia giudiziaria nel corso di un sopralluogo in località “Buffetta” hanno anche avuto modo di ascoltare la testimonianza di un uomo la cui abitazione si trova su un lieve promontorio situato proprio in mezzo ai due rami del fosso Sant’Anna: constatato che l’alveo destro era completamente asciutto mentre in quello sinistro defluiva un enorme flusso di scarichi fognari, l’uomo ha spiegato agli inquirenti che sia il deflusso che l’odore nauseabondo «sono stati sempre presenti» da quando abita in quel luogo, ovvero «circa 30 anni». Ed effettivamente le verifiche successive hanno portato alla scoperta, a circa 40 metri a valle, di un tubo corrugato dal quale fuoriuscivano ad alta pressioni reflui fognari non trattati.
L’ALLARME DI TANSI E LO “STUDIO MAJONE” Le condizioni in cui versa la rete fognaria di Vibo erano state segnalate alla Procura anche dal dirigente della Protezione civile Carlo Tansi che, in una nota, a seguito di un sopralluogo, parlava di «pericolosità diffusa» con «possibilità di ulteriori collassi e conseguenti sprofondamenti» e segnalava come nei canali che fuoriescono nel torrente S. Anna venissero convogliati reflui fognari.
Gran parte delle criticità rilevate nell’indagine, inoltre, erano state già segnalate da uno studio commissionato nel 2008 dal Comune di Vibo. Lo “Studio Majone”, consegnato nella sua versione definitiva nel 2012, metteva in luce i problemi e la pericolosità delle rete fognaria, compresi i gravi rischi relativi al dissesto idrogeologico. Tra il 2008 e il 2015, tra l’altro, il Comune avrebbe impegnato somme per oltre 3,2 milioni di euro per studi di progettazione e manutenzione alla rete fognaria, infatti questa mattina i militari della Guardia di finanza si sono presentati in un municipio per acquisire tutta la documentazione. E il 18 gennaio scorso, infine, è stato aggiudicato un appalto da circa 5,2 milioni di euro destinato a lavori di ammodernamento che però, sottolinea la Procura, non riguarda l’area oggetto di indagine, e cioè la zona di Vibo ovest e parte di Vibo centro, ma soltanto la frazione Marina. La parte di rete fognaria sequestrata, invece, è costituita dai collettori e dagli annessi manufatti che afferiscono al depuratore consortile di località “Silica”.
UNA FOGNA A CIELO APERTO L’urgenza del sequestro, si legge nel decreto vergato dalla pm Aliberti, va ricondotta all’evidente «fondato ed attuale pericolo che la libera disponibilità della rete fognaria, quantomeno con riguardo agli evidenziati punti di criticità, possa determinare la reiterazione dei reati e, comunque, un aggravamento delle loro conseguenze dannose e pericolose per l’integrità dell’ambiente e l’incolumità delle persone». Le diverse note prodotte dai Vdf, infatti, «mettono in luce come il torrente Sant’Anna si sia ormai ridotto a ricettacolo di reflui urbani; in una delle più recenti segnalazioni, datata 22 marzo 2016, si legge chiaramente che (…) i Vigili del fuoco hanno appurato che “l’intera sezione di deflusso del torrente era completamente occupata dal fluodo composto da acque miste”. Si vede, perciò, come in periodo di “secca” il corpo recettore sia definibile come una vera e propria “fogna a cielo aperto”, colma di reflui melmosi e maleodoranti».
Sergio Pelaia
s.pelaia@corrierecal.it
x
x