COSENZA Tutta la cosca avrebbe procacciato voti per Sandro Principe. Ecco perché, in particolare, in una tornata elettorale «ci ha sfondato» realizzando “un’impresa” che non era riuscita nemmeno al padre Cecchino. Lo raccontano alcuni collaboratori di giustizia i cui verbali rappresentano per gli inquirenti uno dei riscontri investigativi che ha portato il gip di Catanzaro, Carlo Ferraro, a emettere un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per politici eccellenti, tra i quali l’ex sottosegretario al Lavoro ed ex sindaci, assessori comunali, provinciali ed ex consiglieri regionali (Umberto Bernaudo, Rosario Mirabelli, Giuseppe Gagliardi, Pietro Ruffolo) e un’ordinanza di misura cautelare in carcere per presunti esponenti del clan Lanzino-Ruà. A spiegare ai magistrati chi avesse cercato i voti per il «rais» della città oltre il Campagnano sono i pentiti Roberto Violetta Calabrese, Adolfo ed Ernesto Foggetti.
Nelle provinciali del 2009 Principe non si era candidato personalmente ma «sponsorizzava la candidatura di Umberto Bernaudo e di Pietro Paolo Ruffolo, politici della sua coalizione». Una coalizione che – scrivono i magistrati della Dda di Catanzaro nella richiesta di arresto – «usufruiva per il procacciamento dei voti e per la sua propaganda dell’appoggio fornito da Michele Di Puppo e dai suoi sodali», come emerge da diverse intercettazioni telefoniche. In cambio di questa campagna elettorale Di Puppo avrebbe ottenuto favori, tra i quali assunzioni all’interno della cooperativa del Comune “Rende Servizi” e Sandro Principe sarebbe stato il «vero terminale della campagna elettorale organizzata da Di Puppo».
In una conversazione telefonica, intercettata dagli inquirenti il 13 maggio del 2009, Michele Di Puppo parla con un dipendente della “Rende Servizi” nella quale Di Puppo informa il suo interlocutore del luogo scelto per un comizio elettorale al quale bisognava invitare anche «l’onorevole» perché «se viene l’onorevole tira anche gente» con l’obiettivo di “disturbare” il comizio di un loro competitor politico. In un’altra conversazione Di Puppo si raccomanda di riferire «all’onorevole» che sta «camminando».
Emblematica una telefonata del 6 giugno del 2009, il giorno prima delle elezioni, tra Michele Di Puppo e Pietro Ruffolo che è ritenuta dai magistrati importante dal punto di vista investigativo per dimostrare l’interesse della cosca Lanzino-Ruà nel procacciare voti per «i candidati di riferimento». Di Puppo il giorno delle elezioni è ansioso di conoscere i risultati elettorali: «Speriamo la Madonna che ce la fanno però poi da una parte la cosa più importante è Umberto (Bernaudo, ndr)» che avrebbe dovuto ottenere più preferenze di Ruffolo perché rivestiva la carica di sindaco. Michele Di Puppo commenta con Marco Paolo Lento (uno degli arrestati nell’operazione “Sistema Rende”) i primi risultati elettorali perché Ruffolo «stava sfondando» e che i dati ancora parziali parlavano di una percentuale di oltre il 28%. E aggiunge: «Se continua di questo passo sarà il candidato più eletto».
Quando i risultati diventano definitivi, Michele Di Puppo è molto soddisfatto – scrivono gli inquirenti – prima per l’affermazione di Sandro Principe («Buono, buono ma Principe ha sfondato, compà») e solo in un secondo momento per i risultati raggiunti da Bernaudo e Ruffolo. Significativa un’altra telefonata, quella del 9 giugno del 2009, in cui Michele Di Puppo dice di essere stato rassicurato da Principe che, comunque, nonostante il ballottaggio avrebbero preso due seggi per i loro due candidati e sottolinea come il loro «impegno era stato massimo» e che il padre di Principe, Cecchino, un risultato del genere non lo avrebbe mai conseguito: «Cecchino una cosa del genere non l’ha mai fatta, ci ha sfondato».
Da tutto ciò emerge chiaramente – mettono nero su bianco i magistrati della Dda – come il vero politico per il gruppo Lanzino-Ruà parteggiasse, in quel caso nella persona di Michele Di Puppo, era effettivamente Sandro Principe, mentre i due candidati Ruffolo e Bernaudo rappresentano solo il mezzo per favorire l’onorevole».
Spetta, adesso, agli inquirenti dimostrare la veridicità o meno dell’impianto accusatorio. Giovedì, 7 aprile, il Riesame di Catanzaro valuterà le posizioni dei politici coinvolti.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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