Leggiamo sulla stampa che in Sanità la corruzione costa ai cittadini 6 miliardi l’anno. La notizia non è, per noi, nuova e pertanto non ci sorprende.Tantomeno è nuovo che la corruzione si annidi profonda non solo negli appalti ma anche pesantemente nella gestione di incarichi e nomine Fedir Sanità che, da sindacato della dirigenza amministrativa, tocca ogni giorno con mano la gestione di moltissimi incarichi dirigenziali di estrema importanza (quelli soprattutto apicali delle strutture tecniche amministrative) che poco hanno a che fare con il merito, lo sa benissimo e lo denuncia da tempo.
Da anni stiamo evidenziando la stretta correlazione fra fiduciarietà nella scelta dei dirigenti e innalzamento dei livelli di corruzione. La fiducia, infatti, è gran bella cosa se riposta nelle mani giuste. Ma sono quelle dei nostri politici le mani giuste? A guardare i dati non si direbbe proprio. Il problema è che la riforma Madia ha accentuato tale fiduciarietà senza che però il governo nulla faccia per la riforma del sistema politico. Le conseguenze sono facilmente immaginabili.
E dobbiamo registrare con amarezza anche che ogni qual volta abbiamo provato ad interessare l’Anac di tali questioni non abbiamo trovato alcun ascolto.
Non solo non abbiamo mai ricevuto risposta ma anzi viene detto che non è materia dell’Anac entrare nel merito delle scelte che riguardano gli incarichi dirigenziali e che le questioni vanno portate al giudice del lavoro.
Peccato che il giudice del lavoro non ha alcun potere di reintegrare nell’incarico il dirigente che pure riesce (quando riesce) a dimostrare di essere stato illegittimamente estromesso dall’incarico e che l’azione di danno erariale (conseguente all’eventuale risarcimento del danno) si perde normalmente nei meandri delle Corti dei Conti ( a Roma aspettiamo da più di quattro anni che la procura erariale rinvii a giudizio un Direttore Generale a cui la Regione Lazio ha chiesto la revoca dell’assunzione di un dirigente a cui l’Asl non ha mai provveduto).
Eppure abbiamo più volte spiegato, senza riscontro di sorta, che la corruzione si alimenta nel suo percorso proprio partendo dalla scelta del dirigente. Ed oggi dichiariamo pubblicamente che la rotazione degli incarichi prevista dalle norme di Cantone troppo spesso anziché essere un mezzo di contrasto alla corruzione è diventato di fatto il mezzo per eccellenza per far fuori il dirigente scomodo o non allineato. Esemplificativo è il caso di una Asl calabrese che ha proprio in questi giorni indetto l’avviso per riconferire, ad incarico dell’attuale responsabile Anticorruzione ben lontano dalla scadenza, l’incarico di Rpc prevedendo requisiti che consentiranno la partecipazione al personale sanitario (che per legge non può assumere tale incarico) e senza prevedere invece alcuna valutazione dell’attività eseguita dall’attuale Rpc (un dirigente amministrativo).
È legittimo pensare che l’attuale Rpc sia scomodo perché, per aderire proprio ad una istanza Anac, ha osato chiedere la sentenza di condanna di un dirigente a reato commesso nell’esercizio delle funzioni e che tale dirigente, anziché essere spostato dalle medesime funzioni, è stato illegittimamente promosso a danno di altro dirigente che legittimamente rivestiva l’incarico?
Anche stavolta abbiamo investito l’Anac e siamo speranzosi in un suo intervento. A quando un’Anac sugli incarichi dirigenziali?
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