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Catanzaro, in manette la gang delle estorsioni

CATANZARO Sono Santo Mirarchi (32 anni), Antonio Giglio (40), Domenico Falcone (43) e Antonio Sacco (21) i quattro arrestati dal comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro nel corso dell’oper…

Pubblicato il: 11/04/2016 – 6:21
Catanzaro, in manette la gang delle estorsioni

CATANZARO Sono Santo Mirarchi (32 anni), Antonio Giglio (40), Domenico Falcone (43) e Antonio Sacco (21) i quattro arrestati dal comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro nel corso dell’operazione “Fashion” finalizzata ad individuare i responsabili di sei episodi intimidatori ai danni di alcuni esercizi commerciali della zona sud di Catanzaro. I quattro, tratti in arresto dagli uomini del comandante della comandante della compagnia di Catanzaro, capitano Antonino Piccione, assieme a quelli della stazione di Catanzaro Lido guidati dal maresciallo Antonio Macrì e con il coordinamento del comandante provinciale colonnello Ugo Cantoni e del comandante del reparto operativo colonnello Alceo Greco, sono accusati di tentata estorsione in concorso, porto abusivo d’armi e danneggiamento con l’aggravante del metodo mafioso.  Nel corso della conferenza stampa tenutasi nella mattinata di lunedì, il procuratori aggiunti della Dda di Catanzaro Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto hanno sottolineato come tra gli arrestati, Mirarchi avesse il ruolo di «coordinamento», tanto da essere indicato come il mandante delle intimidazioni. Agli altri tre era invece demandato il ruolo di esecutori materiali. L’inchiesta, che si riferisce a fatti avvenuti tra luglio e settembre 2015 ed è stata coordinata dal pm Vincenzo Capomolla, ha messo in evidenza quella che gli inquirenti hanno definito il metodo della «richiesta silente», ovvero le intimidazioni agli esercizi commerciali avvenivano senza che ci fosse una richiesta esplicita di denaro all’imprenditore. In pratica, ha spiegato Bombardieri, «Mirarchi voleva così affermare la propria autorità e autorevolezza sul territorio».

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L’attività di indagine, nonostante gli arresti, non si ritiene però conclusa dal momento che gli inquirenti non escludono la possibilità che il gruppo possa avere dei referenti nell’hinterland catanzarese: «Nonostante Catanzaro sia capoluogo – ha spiegato infatti Luberto – non è detto che il centro di comando sia in città». L’operazione, quindi, non fa altro che confermare come attorno alla città dei Tre Colli, in seguito all’operazione “Aemilia” che ha portato in carcere i vertici della cosca Grande-Aracri e al conseguente terremoto negli ambienti criminali catanzaresi, si sia messo in moto un meccanismo volto a riempire gli spazi lasciati vuoti.

Alessandro Tarantino
a.tarantino@corrierecal.it

 

 

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