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Processo Crypto, Ventura condannato a 25 anni

REGGIO CALABRIA Dovrà passare venticinque anni dietro le sbarre Domenico Ventura, riconosciuto oggi organico alla cosca Caridi-Borghetto-Zindato, nella quale ha rivestito un ruolo dirigen…

Pubblicato il: 11/04/2016 – 13:05
Processo Crypto, Ventura condannato a 25 anni

REGGIO CALABRIA Dovrà passare venticinque anni dietro le sbarre Domenico Ventura, riconosciuto oggi organico alla cosca Caridi-Borghetto-Zindato, nella quale ha rivestito un ruolo dirigenziale. Così ha deciso il Tribunale di Reggio Calabria, accogliendo in pieno la richiesta formulata dal pm Stefano Musolino al termine della propria requisitoria al processo Crypto, scaturito dall’indagine che ha inferto un nuovo duro colpo al clan Caridi-Borghetto-Zindato, facendo saltare la cinghia di trasmissione fra i detenuti in carcere e uomini e donne del clan ancora in libertà.
A permettere agli investigatori di conoscerne regole e meccanismi è stato Domenico Antonio Laurendi, responsabile per il clan della gestione dei pagamenti mensili ai familiari degli affiliati e per lungo tempo intercettato dalle cimici della Mobile. Ascoltandolo, investigatori e inquirenti sono riusciti a ricostruire non solo il ruolo di Ventura all’interno della cosca, le regole di funzionamento e la gerarchia, ma anche ad individuare i «veri e propri accordi – si leggeva nell’ordinanza – con cui stabilire chi è l’incaricato di consegnare il denaro e chi, invece è deputato a riceverlo, rivelando come le somme di denaro utilizzate per il sostentamento dei detenuti vengano procurate attraverso la consumazione di altri delitti quali il traffico di stupefacenti o reati contro il patrimonio». Un sistema rodato, che anche quando si inceppa è in grado di attivare procedure e interventi necessari per rimetterlo in marcia. È quanto succede ad esempio quando uno dei sodali, Biagio Parisi, decide di trattenere la quota destinata ai familiari di Ventura. Uno sgarro per cui Domenico Laurendi, tramite i familiari, chiederà l’intervento diretto di Melina Nava, madre del reggente Checco Zindato e del fratello Andrea, cui dopo l’arresto dei figli è toccato tenere strette le redini del clan. È lei infatti a essere informata di dissidi e controversie, puntualmente riferite al figlio Checco, come a riportare le direttive che da questi vengono impartite durante i colloqui. Un meccanismo emerso da centinaia di conversazioni intercettate, sulla base delle quali gli inquirenti ipotizzano che proprio dai massimi vertici del clan sia arrivato il via libera all’escalation di intimidazioni – una testa d’agnello in macchina, l’auto data alle fiamme, minacce verbali e fisiche – cui Parisi è stato sottoposto per riportarlo «sulla retta via».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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