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Un museo a Mongiana racconta com’era ricco il Sud

In Calabria non solo immobilismo ma anche voglia di fare. Sì, a Mongiana, nel più remoto entroterra delle rigogliose Serre, si sta marciando nella giusta direzione. Qui c’è un pezzo di Calabria che…

Pubblicato il: 11/04/2016 – 11:10
Un museo a Mongiana racconta com’era ricco il Sud

In Calabria non solo immobilismo ma anche voglia di fare. Sì, a Mongiana, nel più remoto entroterra delle rigogliose Serre, si sta marciando nella giusta direzione. Qui c’è un pezzo di Calabria che, nonostante atavici svantaggi (strade come tratturi, spopolamento e povertà), ha come obiettivo la nascita di un polo museale di portata europea. E sta innestando, sul patrimonio culturale finalmente rivalutato dalla storiografia internazionale, progettualità d’ampio respiro e idee innovative. A fine giugno, annuncia il giovane sindaco Bruno Iorfida, mentre sono in corso gli scavi per far riemergere un patrimonio storico d’immenso valore, «sarà attuato il potenziamento ed il rilancio del Museo» con un finanziamento europeo di circa 2 milioni e mezzo già nella disponibilità del Comune. Il visitatore potrà avvalersi di avanguardistiche applicazioni, interattive e multimediali, che si prevede di installare nella Fabbrica d’Armi e nelle Reali Ferriere. Insomma, sta per nascere un polo museale che stupirà per intelligenza e competenza specialistica. E per la sofisticata tecnologica che si avvarrà, per esempio, di una cartografia georeferenziata su un modello tridimensionale del territorio al quale sono legate diverse chiavi di accesso che possono essere di tipo geografico (mappe, luoghi ed aree significative), o di tipo cronologico (eventi o date di valenza storica organizzati su time-line sinottiche). E poi: hot spot che, attivando media diversi (filmati, sequenze audio-video, ricostruzioni 3d, immagini, suoni, testi) permetteranno ai visitatori di approfondire gli argomenti proposti. È un personaggio il sindaco di Mongiana. Vale la pena conoscerlo. È colto, gentile e spiritoso. Al telefono, appena chiedo come fare per visitare di domenica il Museo delle “Reali Ferriere Borboniche”, il primo cittadino dei 779 abitanti di “Mungiana” (in dialetto), risponde così: «Nessun problema. Chiamami e arrivo. Apro io il Museo e te lo racconto…».

MONGIANA FU CITTÀ INDUSTRIALE E OGGI È ALLO STREMO Dunque: Mongiana, nelle Serre calabresi. Fu città industriale e militare ed oggi è allo stremo. Ma resiste e reagisce. Iorfida, 32 anni e sindaco dal 2014, ci guida nel Museo di archeologia industriale aperto dopo 38 anni di tira e molla nel 2013. Se c’è chi vuol comprendere cos’è capitato al Mezzogiorno italiano dopo l’Unità, deve andare a Mongiana. Non c’è luogo migliore per rendersi conto che ci fu un tempo – proprio qui nelle Serre – in cui la Calabria era il polo siderurgico del Regno Borbonico. Già, prima del 1861, quando nacque l’Italia e dopo, a Italia fatta, fu distrutto. Parla il Museo con il suo ricco materiale iconografico: le Reali Ferriere Borboniche erano all’avanguardia nella tecnologia metallurgica. Ancora: occupavano un’area di 12.000 metri quadri, con tre altiforni e sei raffinerie e (udite udite!) davano lavoro a 3000 persone. I fucili di Mongiana erano venduti in tutt’Europa e qui nacque il fucile da fanteria modello “Mongiana”. I binari della prima ferrovia d’Italia, Napoli-Portici, furono costruiti col ferro di Mongiana. Tra il 1822 ed il 1829 a Mongiana venne realizzato il primo ponte sospeso in ferro d’Italia: il “Real Ferdinando” sul fiume Garigliano progettato su idea del prof. Carmine Antonio Lippi, e, tra 1832 e 1835, il Ponte “Maria Cristina” sul fiume Calore Irpino, progettato dall’ingegnere Luigi Giura.

NASCITA E MORTE DI UN’INDUSTRIA FIORENTE Il legno dei boschi circostanti era trasformato in carbone per alimentare i forni di fusione e l’energia per far muovere le macchine veniva fornita dai fiumi Ninfo e Allaro. E il borgo di Mongiana, oggi a rischio estinzione, era florido e felice. Ma poi – racconta il Museo – arrivò l’Unità nazionale con i piemontesi. Le macchine metallurgiche furono saccheggiate e la fabbrica impiantata a Terni. L’area espositiva del Museo, recuperata grazie ai finanziamenti della Regione Calabria, propone una carrellata di pannelli in italiano e in inglese che si soffermano sugli oltre cento anni di vita di questa realtà, «all’epoca unica in Italia». Nelle teche sono esposte le armi uscite dalle fonderie delle Ferriere di Mongiana. Qui c’era un vero triangolo industriale, oltre alle Ferriere di Mongiana, le miniere di Pazzano e quelle (private) di Cardinale. Poi venne la pioggia intensa e il freddo, la nebbia copri ogni cosa, soldati a cavallo armati fino ai denti vennero a issare il vessillo tricolore e l’industria svanì. Così fu rubato il ferro a Mongiana e sconfitto un popolo.

IL VIAGGIO TOP SECRET DI “RE BOMBA” «Papà, è duro e stantìo», rispose il ragazzo, «meschinello nell’aspetto», al re che chiedeva: «Né, Ciccì, tu magni senza pane?». Stupito della riposta “Re Bomba”, il «re illiberale e sanguinario», troncò seccato: «Magnatello, e l’avarrissi sempre! Vi magnano i surdati, che ssò meglio nui». Ricorda lo scambio di battute tra Ferdinando II e il figlio in viaggio nelle Serre, Vito Scopacasa, l’ex sindaco di Mongiana che ottenne dalla Regione 600mila euro per realizzare il Museo delle Ferriere e per fare di ciò che è stato il baricentro della siderurgia del Regno delle due Sicilie un punto d’interesse turistico. Si disse, nel 1861, appena i piemontesi imposero l’Italia al Mezzogiorno che in futuro gli altiforni della siderurgia dovessero sorgere in pianura. Le rotaie delle miniere delle Serre furono vendute a peso. Nacque l’acciaieria di Terni, guarda caso: sui monti. Ci furono proposte: al governo dell’Italia liberale gli operai delle Serre offrirono di ridursi la paga, supplicarono attenzione. Ci furono proteste: il tricolore sotto i piedi, no al referendum per l’annessione, l’assalta alla sede della Guardia Nazionale, si formarono due bande, le donne in piazza al grido di “Viva don Ciccio” (FrancescoII) e la bandiera bianca con i gigli. Ci furono partenze: al Nord, negli Stati Uniti, in Canada e in America latina.
Veniva soppressa, di punto in bianco, dall’Italia di Cavour e di Vittorio Emanuele II, un’ industria risalente ai fenici.
Ora, dopo 155 anni di silenzio sul clamoroso scandalo con cui l’Italia appena fatta mostrava a questa parte del Sud il volto peggiore, il potenziamento del Museo tornerà a far parlare del triangolo industriale (Mongiana/Stilo/Ferdinandea) della penisola italiana che sorgeva nell’area oggi più emarginata del Paese (Nardodipace, a un salto da Mongiana, è il paese più povero d’Italia). E ci si ricorderà del viaggio del re borbone e del figlio che si lagna del pane duro. Come andò? Il cameriere Galizia s’era scordato di fornirsi di pane fresco e servì, in quella breve sosta, il pane della truppa con due polli. Viaggiavano con la carrozza reale, la nuovissima daumont. Erano, superata da un pezzo l’Angitola, dopo San Nicola, a Centofontane. Tra qualche ora sarebbero giunti a destinazione: 12000 soldati avrebbero alloggiato nelle Serre. Dove andava quel convoglio militare il 13 ottobre 1852? Top secret. O quasi. Fu un viaggio sorpresa solo per l’intendente di Catanzaro, che all’ora dell’arrivo reale stava dormendo e per il vescovo, che non lo andò a ricevere e pagò con due mesi di esilio a Napoli. “Re Bomba” si fermò a Serra, supplicato dall’arciprete e dal clero; s’inginocchiò dinanzi al busto di San Bruno, chiese ai sacerdoti che lo raccomandassero alla Madonna e subito proseguì il suo viaggio segreto.
Direzione: Mongiana (cosi chiamata dal nome di un torrente che scorre lì vicino o per la frase che alcuni funzionari francesi si scambiavano all’ora del pranzo: «Mangez-nous»). Dove c’era la Reale Ferriera cui davano impulso le Officine di Pietrarsa dopo gli interventi di modernizzazione decisi da Ferdinando II, che a Mongiana aveva spedito i migliori mineralogisti sassoni ed ungheresi per formare gli operai.

IL RE ANADAVA A VISITARE LA NUOVA FABBRICA D’ARMI A Mongiana il borbone andava a visitare la nuova fabbrica d’armi sorta dopo che un alluvione aveva distrutto la vecchia. A visionare, con i propri occhi, la ferriera che consentiva al Regno di essere autonomo nella pr
oduzione di armi e di vantarsi di un’opera eccellente. Al punto che lo zar la fece riprodurre identica in Russia inaugurando le Officine di kronstadt.
Mongiana: per arrivarci dall’Angitola c’è quasi un’ora di curve moleste. E appena un tratto completato della Trasversale. Deserto imprenditoriale ed emigrazione a fiumi. Ma c’è stato un tempo in cui, prima che giungesse Garibaldi, le Regie Ferriere davano di che vivere a tutti gli abitanti della zona. Prima dell’Unità d’Italia, il polo siderurgico calabrese era una realtà industriale d’interesse internazionale. «Dalle Serre – scrive lo storico Augusto Placanica – il ferro, fucinato e lavorato con produzione fra l’altro di fucili e cannoni per l’esercito, veniva portato alla marina di Pizzo, e di qui avviato per mare ai mercati d’assorbimento…».
Forse l’epoca in cui in Calabria si usava fondere con forni itineranti il rame, il piombo, l’argento e il ferro servendosi di forni itineranti risale addirittura ai fenici. Secondo la ricerca condotta dagli architetti Brunello De Stefano Manno e Gennaro Matacena sulle Reali Ferriere, le miniere di ferro di Stilo (fornivano la materia prima a Mongiana) furono donate dai Normanni a San Bruno con un atto sottoscritto da Ruggiero il Gran Conte. Anche gli Svevi e gli Angioini sfruttarono il ferro nelle viscere della roccia Consolino (sopra Stilo).
Le miniere erano date in concessione agli “arrendatari”, che versavano una rendita annua alla Certosa ed al re. Nel 1523 Carlo V donò le miniere a Cesare Ferramosca, fratello di Ettore, capitano degli undici italiani vittoriosi sugli undici francesi nella disfida di Barletta. Ma Cesare non aveva l’arguzia del fratello e lasciò perdere.
Quando toccarono ai Borboni, le ferriere calabresi fecero parte del piano della metallurgia voluto da Ferdinando IV. Le Regie Ferriere (gli stabilimenti di Mongiana e della Ferdinandea) furono il mercato più generoso per l’occupazione serrese: bovari, per il trasporto del materiale, carbonai, lavoratori boschivi, quindi gli artigiani, maestri fabbri ferrai, “i quali si imposero per la loro bravura, quando annessa alla fonderia sorse una fabbrica d’armi”, ma anche per la produzione d’utensili vari.

TUTTO FINÌ CON GARIBALDI SBARCATO IN CALABRIA Tutto finì, incredibile ma vero, con Garibaldi. Sbarcato in Calabria e salendo lungo la costa tirrenica, sostò a Pizzo e da lì inviò 1370 uomini comandati dal capitano Antonio Garcea con l’ordine di occupare Mongiana, «requisire lo stabilimento, la fabbrica d’armi, cosi importante per l’economia di quella marcia verso Napoli». Qualche innocua fucilata e la resa dei 25 borbonici a guardia di Mongiana.
Cessavano di esistere le ferriere con la nascita dell’Italia liberale. «L’antica isola d’industria mineraria che – scrive lo storico Pietro Bevilacqua – in età borbonica aveva prodotto quantità rilevanti di materiale ferroso entrò in crisi a causa delle scelte economiche dei governi liberali che ebbero in Calabria conseguenze anche immediate. L’industria mineraria fu indubbiamente quella che per essere legata alle commesse governative sentì più repentinamente gli effetti della nuova situazione».
La denuncia di De Stefano/ Matacena è scolpita nei numeri. Suffragata dalla massiccia emigrazione che si ebbe nelle Serre, specie alla fine dell’Ottocento. E fa capire quanto l’Italia tenesse in considerazione il Sud: «Lo Stato unitario privilegiò subito la componente piemontese-ligure. Il nuovo governo favori spudoratamente la siderurgia ligure, tant’è che l’Ansaldo, che prima del 1860 contava la metà dei dipendenti di Mongiana, a Italia fatta li raddoppia, mentre, allo stesso tempo, sono dimezzati quelli del Meridione. Il Sud si troverà a recitare il ruolo di portatore d’acqua e i meridionali quello di braccia lavoro. Il Mezzogiorno, arrestato dall’amputazione della gamba industria, non poté reggersi sulla gamba agricoltura, perché neppure quella fu sviluppata. Se oggi il Sud è degradato e diverso dal Nord si deve molto a quella lontana concezione di unità». Parole di fuoco pronunciò il meridionalista Nicola Zitara su quella “strage” che lo Stato appena nato fece in Calabria: «L’unità d’Italia ha tutt’altro che occidentalizzato il Mezzogiorno. L’unificazione del mercato nazionale gli ha spezzato le reni».
Migliaia di famiglie sul lastrico e la distruzione della dell’industria delle Serre alimentata da minerali ferrosi delle sue rocce, organizzata da tecnici e operai del luogo, alimentata con energia ricavata dai suoi ricchi e splendidi boschi. Un’industria d’interesse strategico per il Regno delle due Sicilie fu cancellata con un tratto di penna.

CHE FINE FECERO LE FERRIERE? E un’area della Calabria condannata all’inedia e alla fuga. Quando nel 2011 fu festeggiato il 150esimo anniversario dell’Unità nazionale, il comitato interministeriale costituito nel 2007 con il compito di pianificare iniziative ed interventi, avrebbe potuto inserire nel programma le scuse dell’Italia alle Serre calabresi. Non lo fece. Tra le tante “scuse” che, a drammi storici consumati, si colgono qua e là, queste non avrebbero sfigurato. Se non altro, avrebbero potuto riconoscere lo scempio consumato.
Che fine fecero le ferriere di Mongiana dopo il Grande Evento? Pazzesco. Mentre ancora nel 1861 la “Real Ferriera” è premiata all’Esposizione industriale di Firenze e nel 1862 all’Esposizione industriale di Londra, lo Stato italiano la butta via. La comprò, una volta chiusa, un certo Achille Fazzari. In regolare asta a Catanzaro. Prezzo in un unico lotto: 524.667, 21 centesimi. Chi era costui? Un sarto, poi colonnello al seguito dell’Eroe dei due mondi e senatore con l’Unità d’Italia; «divenuto infine», scrive sarcastico Sharo Gambino, l’indimenticabile scrittore delle Serre, «industriale per avere acquistato la Ferdinandea».

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