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Trivelle e petrolio sul palco di Villa San Giovanni

VILLA SAN GIOVANNI Lo spettacolo teatrale “In alto mare/deep water” si presenta come «una rappresentazione teatrale sulla giustizia ambientale». Sarebbe difficile immaginare altro. Nella locandina,…

Pubblicato il: 12/04/2016 – 10:28
Trivelle e petrolio sul palco di Villa San Giovanni

VILLA SAN GIOVANNI Lo spettacolo teatrale “In alto mare/deep water” si presenta come «una rappresentazione teatrale sulla giustizia ambientale». Sarebbe difficile immaginare altro. Nella locandina, infatti, un’enorme trivella occupa metà della grafica. A dispetto di quanto si possa immagine (soprattutto con il  referendum del 17 aprile alle porte), la commedia non attacca e non accusa nessuno; non vuole influenzare i votanti o creare scomode e inopportune discussioni di piazza. Il Cies Onlus di Roma – l’organizzazione non governativa che ha realizzato la pièce -, ha aderito a “Same world”, progetto europeo finalizzato a sensibilizzare la cittadinanza mondiale su tematiche come: i cambiamenti climatici, la giustizia ambientale e l’adozione di stili di vita che assicurino a tutti un’esistenza dignitosa. Lo spettacolo – andato in scena negli spazi del centro socio – culturale “Nuvola Rossa” di Villa San Giovanni ieri mattina per le scuole e con una replica nel pomeriggio -, è stato promosso dall’associazione socio – culturale “Ponti pialesi”, con il sostegno del sindaco della città, Antonio Messina; di Nuccio Barillà, della direzione nazionale Legambiente e di Alberto Ziparo, docente di Urbanistica presso l’università di Firenze; protagonisti di un dibattito col  pubblico a fine spettacolo sull’importanza dell’informazione riguardo a tematiche di questo rilievo.
Dopo un’attesa di quasi un’ora, lo spettacolo ha inizio. Da una cassa, situata alla destra del palco, le voci di due donne sovrastano il rumore del mare. Pochi attimi e in scena entrano due dei sei attori coinvolti nello spettacolo (Emanuela Bolco, Valentina Di Odoardo, che è anche la regista; Dina Giuseppetti, Daniele Miglio, Adriano Rossi, Priscilla Solis). All’interno di uno spazio non ben definito, in un regione X dell’Italia, una presidente di Regione e un rappresentate di un’azienda petrolifera fittizia, l’AIP, si trovano davanti a un pubblico accorso a un comizio. Poche battute rendono chiaro l’argomento del giorno: l’installazione di trivelle per l’estrazione del petrolio. Dal pubblico, un uomo interviene al dibattito. Prima che la discussione si faccia accesa uno «Stop», urlato a gran voce dal fondo della platea, interrompe l’azione. Si scopre, così, che si sta assistendo a una prova teatrale di un gruppo di attori. Da qui partono quattro atti –  scanditi dal buio in sala e dalle voci che escono dalla cassa che creano un luogo scenico “altro” -, in cui l’azione ha modo di svolgersi nel suo da farsi: il dibattito, con l’indignazione della cittadinanza;  i sostenitori del progetto («Me lo dai te e i tuoi amichetti dal pollice verde il lavoro?» incalza una disoccupata);  le alternative all’impianto: la “Smart Grid”, e la votazione finale.
La riuscita di questo spettacolo risiede nel metateatro (fatto bene), che permette agli attori di addentrarsi nella drammaturgia entrando e uscendo dai propri personaggi con estrema autenticità; oltre che nell’aver affrontato con (amara) ironia temi di stringente attualità (il gruppo del Cies si è avvalso di un comitato scientifico che ha fornito dati e statistiche riguardo gli argomenti trattati). In questo “teatro nel teatro”, la storia si svolge attraverso due chiavi di lettura (a cui se ne aggiunge una terza in corso d’opera). Se per una prima parte gli argomenti – in un gioco di botta e risposta tra favorevoli e contrari – riguardano: la giustizia sociale e l’impatto ambientale, le opportunità di lavoro, le migrazioni di alcuni territori dovute al cambiamento climatico o i disastri ambientali (non a  caso nel titolo “Deep water”, riguarda l’esplosione della piattaforma petrolifera “Deep Water Horizon” che ha colpito il Golfo del Messico il 20 aprile 2010); c’è quel momento catartico in cui un elemento nuovo spezza la storia (ma non l’azione) e come un deus ex machina, devia il punto focale dell’argomento: «Noi nasciamo figli della terra, questa è una realtà che non può essere cambiata né dagli indigeni né dall’uomo bianco. Abbiamo detto che la terra è nostra madre, che non possiamo né vogliamo venderla, ma l’uomo bianco sembra non capire, insiste affinché vendiamo e maltrattiamo la nostra terra». Dalla platea, una donna boliviana esterna alla compagnia, recita il testo della “Carta del popolo indigeno U’WA” e, nel risveglio delle coscienze, pone un semplice quesito: «Chi è il selvaggio?». La protagonista della vicenda adesso è la sola natura e tutte le questione affrontate negli attimi che la precedono, vengono spazzate via. In chiusura, la votazione non porterà a un risultato. Un finale in cui le parole scemano nel silenzio e nel buio della sala e dalle casse esce solo il rumore assordante e meccanico delle trivelle che si sostituirà a quello delle onde del mare. 

Miriam Guinea
redazione@corrierecal.it

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