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Processo Scajola, la lente della Dda sul suicidio del teste

REGGIO CALABRIA Un teste importante, chiamato a ricostruire passaggi fondamentali per la pubblica accusa, perché a lui era toccato il compito di analizzare l’archivio di Mariagrazia Fiordelisi, imp…

Pubblicato il: 13/04/2016 – 18:44
Processo Scajola, la lente della Dda sul suicidio del teste

REGGIO CALABRIA Un teste importante, chiamato a ricostruire passaggi fondamentali per la pubblica accusa, perché a lui era toccato il compito di analizzare l’archivio di Mariagrazia Fiordelisi, impostando i successivi approfondimenti su quei file e quelle carte. Così è stato definito il tenente colonnello della Guardia di Finanza Omar Pace, l’ufficiale  in forza alla Dia, che si è tolto la vita lunedì scorso, due giorni prima della sua testimonianza al processo che vede imputato anche l’ex ministro Claudio Scajola.
Il politico è accusato di aver aiutato l’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena a sottrarsi a una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e ad occultare il suo immenso patrimonio, insieme alla moglie dell’ex collega di partito, Chiara Rizzo, al factotum dei coniugi Martino Politi, e alla storica segretaria dei due, Mariagrazia Fiordelisi. Contestazioni rafforzate dal materiale sequestrato anche all’esito della perquisizione affidata anche al tenente colonnello Pace, il giorno dell’esecuzione dell’ordinanza spedito a casa della storica segretaria dei Matacena, dove è stato rinvenuto l’archivio segreto dei due. Materiale che il tenente colonnello aveva analizzato e catalogato e su cui oggi avrebbe dovuto riferire. Un suicidio – per il quale hanno espresso dolore e rammarico anche i legali presenti oggi in aula, che per bocca dell’avvocato Corrado Politi hanno voluto esprimere le proprie condoglianze alla famiglia – su cui anche il pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo vuole vederci chiaro. Per questo motivo, attende la trasmissione degli atti preliminari di indagine che saranno redatti dalla Mobile di Roma, come pure i messaggi d’addio che il finanziere ha redatto prima di spararsi un unico letale colpo con la pistola d’ordinanza. Al sesto piano del Cedir – stando a quanto filtra – c’è l’obbligo di comprendere cosa abbia spinto l’ufficiale al suicidio per spazzare via qualsiasi eventuale ombra su un’indagine che, come dimostrano anche le integrazioni istruttorie di recente depositate, è lungi dall’essere conclusa.
Nel frattempo, continua l’attività dibattimentale di fronte al collegio presieduto da Natina Pratticò. Di fronte ai giudici, oggi hanno sfilato però solo i testi minori che erano stati convocati a corredo della testimonianza principale dell’ufficiale. Sulla perquisizione a casa di Mariagrazia Fiordelisi ha riferito il capitano della Guardia di Finanza Vincenzo Linella, che ha ripercorso le operazioni eseguite l’8 maggio 2014, confermando che proprio nell’archivio della segretaria è stato rinvenuto il fax inviato dall’imprenditore Vincenzo Speziali per confermare l’impegno dell’ex presidente libanese Amin Gemayel a garantire a Matacena un rifugio sicuro in Libano. Nel paese dei Cedri – si assicurava con quella missiva redatta in francese e indirizzata a «mon cher Claudio» Scajola –  all’ex deputato latitante, sarebbero stati garantiti appoggi e documenti che ne avrebbero preservato la piena operatività. Sebbene la firma in calce e le conversazioni intercettate dimostrino il contrario, tanto Gemayel come Speziali hanno sempre smentito la paternità di quella lettera.
Ma ad incastrare l’imprenditore catanzarese, confermando che il numero di fax da cui è stata spedita è quello usato abitualmente da  Speziali, è stato Giorgio Casciani, amministratore delegato della società 3TI Italia S.p.A. In passato – ha spiegato Casciani a inquirenti e investigatori – proprio da quel numero l’imprenditore catanzarese, per circa un anno utilizzato come agente e consulente della 3TI Italia in Libano, ha inviato all’azienda note e fatture per i rimborsi. Un dato, comprovato anche a livello documentale, che conferma il quadro che gli investigatori coordinati dal pm Lombardo hanno costruito nel corso di lunghi anni di indagine. Un mosaico dove è la ndrangheta a cementare tessere pescate dal catino  della politica ufficiale e di  quella ufficiosa, degli investimenti delle grandi aziende di Stato e degli interessi dei player finanziari internazionali, della massoneria e delle lobbies. Un mosaico che con il passare del tempo diventa sempre più complesso. E inquietante.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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