CATANZARO «Quando incontra sul cammino un appuntamento elettorale, la vostra attività di magistrati ne tiene conto o no?». La domanda di Paolo Pollichieni, direttore del Corriere della Calabria, giunge diretta. Alla fine dei 44 minuti di colloquio andati in onda su Libera 90, il procuratore della Repubblica aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Luberto, non si tira indietro.
«Io – risponde – sono perché non se ne tenga conto. Abbiamo dei tempi che sono dettati dalle investigazioni e dai mezzi che ci danno per farle celermente. Però forse sono in minoranza, non dico in questo ufficio, ma sto iniziando a sentir dire di opportunità politiche da rispettare. Io non sono tanto d’accordo. Un’esigenza cautelare o c’è o non c’è. E se c’è non posso aspettare». A Vincenzo Luberto sono affidate alcune delle inchieste più delicate sul fronte mafia-politica. Il suo impegno nel distretto giudiziario di Catanzaro è antico. Ha visto pezzi di consigli comunali del Cosentino arrestati per i loro legami con la ‘ndrangheta e sentenze storiche, convive – assieme ai suoi colleghi – con le ristrettezze spaventose degli organici.
RISTRETTEZZE SPAVENTOSE «La procura distrettuale – spiega – ha mille giornate di udienza all’anno, e con sei magistrati è difficile garantirle. I pubblici ministeri devono anche svolgere le indagini e scrivere le richieste di misure cautelari, perché le persone, se rimangono libere, commettono nuovi reati e questo lo dovremmo scongiurare. Tutto questo impegno si fa con grandissima fatica in queste condizioni di numeri». Nel settore giudicante non va meglio: «Naturalmente, le decisioni sulle misure cautelari vanno prese dai giudici per le indagini preliminari, che sono pochi. Questo secondo piante organiche che devono essere riviste, perché non ce la si fa nelle attuali condizioni. Perché si possa fare un processo, poi, occorre una dotazione di uomini, di forza di polizia giudiziaria che è del tutto insufficiente». È un allarme che a Catanzaro non si stancano di lanciare. E coinvolge tutti i livelli del sistema: «Ci sono zone del tutto non presidiate dalle forze dell’ordine. Ricordo un episodio: c’era un importante capocosca che è rimasto eccezionalmente libero per pochi mesi ed era gravato dall’obbligo di firma, cioè doveva recarsi in caserma tutte le sere e firmare, come forma di controllo. Ebbene, è accaduto che i carabinieri dovessero andare loro a casa di questo signore perché erano in numero insufficiente a garantirne sicurezza qualora fosse andato lui in caserma».
Eppure, sollecita Pollichieni, la politica dice: «Vogliamo che i magistrati facciano il loro lavoro, ma presto e con sentenze». Come fare? «Premesso che si può fare sempre meglio e assicurare tempi più solleciti – spiega Luberto –, occorre misurare i problemi. La durata dei processi varia a seconda dello stato di detenzione o meno. Hanno corsia preferenziale processi con detenuti, che hanno delle scadenze. Con tempi consentiti sia dalla valutazione dei giudici sia da un sistema che offre garanzie formidabili. Dobbiamo fare i conti con la realtà. Le garanzie hanno costi sotto il profilo dei tempi. Pretendere celerità significa spendere in termini di dotazione».
È LA POLITICA CHE CERCA LA ‘NDRANGHETA? Luberto, ovviamente, non entra nel merito delle inchieste in corso. Si basa, per le sue riflessioni, su elementi certi, emersi in un passato che definisce «non troppo risalente». Non commenta direttamente le indagini nel Cosentino: «Non indugerei sui verbali dei pentiti. C’è questo modo “alla cosentina” di pubblicarli, poi ognuno li interpreta a modo proprio, francamente è un dibattito che non mi appassiona. Così come non mi appassiona cercare di individuare se sia la politica a cercare i clan o viceversa. Quello che mi pare di poter dire è che c’è una struttura di tipo criminale che controlla i voti, o almeno un pacchetto di voti, e quel pacchetto può vendere. Ci sono delle investigazioni che dimostrano quanto la ‘ndrangheta controlli degli ammortizzatori sociali illeciti (come nel caso delle truffe in danno degli istituti previdenziali), e di conseguenza controlla voti che possono essere venduti al miglior offerente. C’è poi qualcuno che li compra. Ma la tragedia sta nel fatto che è sempre più difficile essere liberi di scegliere chi votare». Il problema sta proprio lì, nella libertà di scelta inquinata: «È complicato difendersi da queste storture, perché la gente è in una situazione di bisogno indotto, c’è un oligopolio delle fonti di ricchezza e la libertà di scelta ha un costo spesso insostenibile. Il problema è sempre economico».
LE REGOLE DELLA POLITICA Un conto è la scelta che compete ai cittadini, altro è la composizione delle liste. Anche su questo aspetto, il magistrato, stimolato da Pollichieni, pesca da una recente sentenza: «Abbiamo avuto esperienze censite, come a Scalea. C’è stato un sindaco condannato quale dirigente di un sodalizio ‘ndranghetistico. È una cosa di enorme rilevanza che non mi pare abbia avuto un’eco importante. E poi ci sono stati casi di liste composte in larga parte da persone con precedenti penali. Basterebbe controllo effettivo, da parte della politica, con l’emarginazione di pregiudicati per reati importanti. Servirebbe a rendere l’aria più respirabile. Per alcuni reati sarebbe il caso di introdurre una regola, ma questa regola deve darsela la politica».
MAGISTRATURA E POLITICA È il rapporto ondivago tra politica e magistratura uno dei fulcri dell’intervista. A Pollichieni, che chiede se la politica non sovraesponga Luberto e i suoi colleghi con “dichiarazioni d’amore” e inviti ad attendere il loro operato prima di compiere delle scelte, il procuratore aggiunto risponde: «Che qualcuno abbia amore nei confronti della magistratura è un’illusione che non ho mai avuto. È chiaro che le conseguenze dei provvedimenti dei magistrati possono avere pesanti conseguenze politiche. E proprio per questo ho sempre consigliato di evitare pretesti e di stare lontani da rapporti con i politici»
ATTENTATI E DELEGITTIMAZIONE Luberto ha le idee chiare: «Davanti a tanti complimenti non mi stupisco. So che dopo una fase “up” verrà una fase “down”». Non riferisce, però, di veri e propri tentativi di delegittimazione nei suoi confronti da parte della ‘ndrangheta. Segnala, piuttosto, un altro fenomeno: «Qui c’è un problema di forte contrasto dal basso. In molti comuni si fatica a fare il carabiniere o il poliziotto in maniera adeguata, perché si soffre la ferocia dello ‘ndranghetista. Ci sono episodi di carabinieri ai quali si incendia l’auto solo perché hanno fermato il figlio di un pregiudicato che era senza casco. E pensi che ho saputo di questo episodio come autorità inquirente a distanza di un anno, con una stampa completamente silenziata. I clan colpiscono coloro i quali dovrebbero collaborare con i magistrati. E la gente si spagna, ha paura». (ppp)
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