REGGIO CALABRIA Comodamente seduti dietro lo schermo del proprio computer, a colpi di clic sono riusciti ad alleggerire dodici correntisti della banca olandese IngDirect di oltre un milione di euro. È una banda di veri e propri professionisti della truffa on line, ma con base saldamente ancorata nella zona jonica del reggino, quella individuata dai militari della Guardia di Finanza, coordinati dalla procura di Reggio Calabria, con l’operazione Piscatores.
BASE NELLA LOCRIDE, VITTIME IN TUTTA ITALIA Le loro vittime, invece, sono sparse in tutta Italia. A mettere per prima i militari sulle loro tracce è stata una donna di Molfetta, Giovanna De Candia, che – costernata – ha denunciato di aver visto sparire nel giro di un giorno e mezzo oltre 90mila euro. Qualche tempo dopo, un furto del tutto simile viene denunciato da una correntista delle filiali bolognesi della IngDirect. A investigatori ed inquirenti tanto basta per comprendere che non si tratta di episodi isolati, ma che dietro c’è un’organizzazione complessa e in grado di insinuarsi nelle banche virtuali e svaligiarle.
FOLLOW THE MONEY Tracciando l’ip di chi ha svuotato i conti, arrivano nella Locride, dove si imbattono in una serie di personaggi non solo già noti alle forze dell’ordine perché considerati vicini o contigui ai clan della zona, ma soprattutto già inseriti nella banca dati Siva, che conserva tutte le operazioni considerate “sospette”. A completare il quadro, sono state le intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, che hanno permesso agli investigatori di riscostruire l’organigramma di un’organizzazione complessa, non piramidale e fatta anche di professionisti del settore.
LA BANDA «Abbiamo un dealer di un centro Tim – spiega il tenente colonnello William Vinci, comandante del gruppo gdf di Locri – un tecnico elettronico che ufficialmente riparava centraline elettriche delle auto, ma era il vero e proprio hacker dell’organizzazione, diversi personaggi incaricati delle operazioni di smarfing, cioè i versamenti tutti sotto soglia con cui si svuotavano i conti, e infine i tanti che erano incaricati di prelevare i contanti tramite bancomat». Ma ascoltandoli, gli investigatori sono stati in grado di comprendere soprattutto il metodo – raffinato – che la banda utilizzava per raggirare ingenui correntisti.
A “PESCA” DI INCAUTI «Alla base – spiega il procuratore aggiunto Gaetano Paci – c’era la classica tecnica del phishing, cioè l’invio di messaggi di posta elettronica, simili in tutto e per tutto a quelli inviati dall’istituto di credito. In questo modo venivano carpite in maniera fraudolenta le generalità della vittima. I correntisti venivano contattati per proposte di tipo commerciale, accordi transattivi o altro, che non erano che l’esca necessaria per accedere ai conti». Proponendo offerte e servizi particolarmente vantaggiosi, i truffatori riuscivano ad estorcere alla vittima generalità complete, documenti e codici di accesso, utilizzati sia per accedere e svuotare il conto della vittima, sia per creare una sorta di “conto clone”, del tutto analogo a quello della vittima, su cui trasferire il denaro, che da lì veniva poi fatto sparire in mille rivoli su conti terzi. E nessuno se ne accorgeva.
BLINDATURE INUTILI Perché la banda aveva anche trovato il modo per aggirare i controlli di sicurezza. «Una parte dell’organizzazione – spiega il colonnello Vinci – si dedicava infatti ad acquisire il numero di telefono della vittima, quindi simulando di esserne il titolare, contattava il gestore, chiedendo di sostituirlo per asseriti problemi di linea o contratto. Il nuovo numero veniva dunque comunicato alla IngDirect, che lì provvedeva a inviare tutte le comunicazioni riguardanti le operazioni effettuate sul conto». Un meccanismo perfetto, che – ipotizzano gli inquirenti – potrebbe aver fatto molte più vittime delle dodici ad oggi note.
LE INDAGINI PROSEGUONO All’attenzione della procura e della Guardia di Finanza reggina sono arrivate infatti trecento denunce in tutto e per tutto simili alle dodici che hanno portato all’arresto della banda, tuttora oggetto di indagini e approfondimenti. L’inchiesta dunque non si ferma. Lo ha ammesso anche il colonnello Alessandro Barbera, a capo del comando provinciale della Gdf di Reggio, che ha detto «l’attività che abbiamo fatto è lungi dall’essere conclusa. Adesso bisognerà capire se ci siano altri soggetti coinvolti e quali fossero i reali obiettivi delle operazioni di riciclaggio». Quello che investigatori e inquirenti vogliono capire è se ci fosse una talpa interna all’istituto di credito in grado di segnalare le vittime alla banda, ma soprattutto se e in che misura i truffatori fossero in contatto con le ‘ndrine della Locride.
NIENTE ‘NDRANGHETA, PER ADESSO Sebbene nell’organigramma dell’organizzazione appaiano personaggi ritenuti vicini o contigui ai clan della zona, al momento non ci sono contestazioni di mafia. «Sappiamo che la ‘ndrangheta da tempo si dedica anche ad attività in passato considerate non tradizionali, come l’usura – sottolinea in procuratore capo Federico Cafiero de Raho – di fronte ad un’operazione di riciclaggio di questo genere siamo obbligati ad andare fino in fondo». La banda di truffatori individuata con l’operazione Piscatores, conclude Cafiero de Raho – è «un’associazione che si muoveva comunque in un contesto mafioso come la jonica reggina, seppure le indagini non abbiano permesso di contestare l’ipotesi di associazione mafiosa». Quanto meno per adesso.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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