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I colori maturano la notte di Villa

VILLA SAN GIOVANNI Il primo a entrare in scena è il musicista, Stefano Scarfone. Siede scalzo davanti a una loop station e a un leggio. Accorda la sua chitarra. Dalla prima quinta, spunta qualche b…

Pubblicato il: 17/04/2016 – 13:45
I colori maturano la notte di Villa

VILLA SAN GIOVANNI Il primo a entrare in scena è il musicista, Stefano Scarfone. Siede scalzo davanti a una loop station e a un leggio. Accorda la sua chitarra. Dalla prima quinta, spunta qualche bolla di sapone. Dalla cassa una voce «Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri»; poi inizia la melodia. Un lercio cuscino vola sul proscenio e sul palco del Teatro Primo di Villa San Giovanni, entra Marzia Ercolani. Lo spettacolo “I colori maturano la notte – Confessioni di una diversa Alda Merini” da lei scritto, diretto e interpretato, propone al pubblico la storia di Alda Merini. In scena con lei Stefano Scarfone, compositore e chitarrista e, per la replica di ieri sera, Lavinia Mancusi, cantante e polistrumentista.
La storia della poetessa di Milano, parte proprio da quel lontano 1965 quando, dopo un estenuante litigio, il marito chiamò l’ambulanza e venne ricoverata in manicomio (« la donna era soggetta all’uomo e l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire»); e arriva fino alla sua liberazione, avvenuta nel 1978 grazie alla Legge Basaglia, che impose la chiusura dei manicomi. La drammaturgia ripercorre i dieci anni di internamento; comprese tutte le coercizioni che la condanna prevedeva. Si lascia una Alda Merini che è moglie e madre e se ne scopre il ricovero coatto con la sua quotidianità. Sul palco ci sono due brande: non sono letti da contenzione, ma possono diventare celle o le grate del manicomio stesso. In questo spettacolo non ci sono camicie di forza, né fascette; è come se tutto fosse stato alleggerito, pur mantenendo la propria funzione narrativa. Un secchio, situato oltre il palco, contiene sapone, ma nella scena della pulizia corporea quotidiana, l’attrice non mostra le torture che subivano, pratica che la Merini considerava: «la triste toeletta del mattino», in cui «ci si sentiva di essere lavati come panni». Alle parole resta in compito di evocarle, mentre dalla spugna che tiene in mano escono solo bolle di sapone. Il lungo monologo «Quelle come me» fa da fil rouge alla narrazione, che si concede “finestre” in cui le poesie della Merini toccano argomenti che vanno dall’internamento, al sogno, all’amore, al femminile. Ci sono spazi lasciati agli aforismi («D’altronde ero poeta, madre e sposa felice»), ma la storia, questa poetica e toccante narrazione, é attraversata da quasi 15 poesie (quasi tutte tratte da “Terra Santa”) e ha visto un lungo lavoro di studio dietro: «Io ho letto moltissimo delle cose che lei ha scritto – spiega Marzia Ercolani -. Il riferimento di base è “Diario di una diversa”, che lei ha scritto quando il famoso Dottor G. e le diede una penna e un quaderno che , in realtà, i malati, non potevano avere. Io ho dovuto fare una ricostruzione temporale, perché nel diario lei aveva scritto in maniera in po’ confusa ed era complicato da usare così come era». Sul palco, l’attrice è stata aiutata non solo dalle musiche di Scarfone, ma anche da Lavinia Mancusi: presenza angelica che si intreccia con la narrazione. Alla sua splendida voce – coadiuvata da un tamburo – è affidata il suicidio di una giovane madre a cui è stato tolto il figlio in manicomio e, con “Il cielo in una stanza”, chiude la parentesi poetica de “L’Albatros”.
L’attrice gioca bene le sue qualità di grande interprete e, se volessimo staccarla per un momento dal testo, avrebbe comunque mantenuto inalterato il suo obiettivo. La follia, talmente ostracizzata da essere trattata con psico farmaci o cicli di elettroshock, è visibile nei segni che lascia nel corpo: mani e piedi (questi ultimi macchiati di nero), sono contratti come se fossero soggetti a continui spasmi; conseguenze di anni di abusi e sevizie. Una lunga veste bianca, copre un corpo che è curvo, le cui gambe a stento sembrano sostenerne l’esiguo peso. Il viso è pallido e i capelli raccolti in una coda. «L’obiettivo di questo progetto era raccontare quello che accadeva nei manicomi prima della legge Basaglia. Il lavoro è stato sostenuto da un premio Basaglia che si chiama Adriano Pallotta, ex infermiere del Santa Maria della Pietà. Ho scelto Alda Merini perché è una poetessa ed è un personaggio popolare, nel senso che ha una scrittura semplice, chiara da capire. Arriva a tutti ed era la poetessa di tutti». Solo dopo il 13 maggio 1978 la poetessa tornerà libera. L’attrice, allora, si spoglia della sua veste. Indossa un giubbotto di pelle. A uno specchio, si mette del rossetto rosso sulle labbra.
Indossa una collana di perle e poi scrive qualcosa sullo specchio: «Anche la follia merita i suoi applausi». Prontamente, sulle ultime note di Stefano Scarfone, nella calda sfumatura di rosso che non li ha mai abbandonati, gli applausi arrivano.

Miriam Guinea
redazione@corrierecal.it

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