CATANZARO Le proroghe dei contratti erano automatiche, mentre il Bollettino ufficiale della Regione continuava a essere stampato in formato cartaceo nonostante fosse obbligatorio pubblicarlo esclusivamente per via telematica. La Procura di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio in concorso per tre dirigenti della Regione Calabria che avrebbero favorito l’azienda di proprietà della famiglia del sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, causando un danno di circa 4,5 milioni di euro. Il gip Wanda Romanò, su richiesta del sostituto procuratore Saverio Vertuccio, lo scorso 16 febbraio ha fissato l’udienza preliminare per il prossimo 12 luglio, quando deciderà se rinviare a giudizio l’ex dg del dipartimento Organizzazione e personale Antonio Izzo (in carica dal 25 maggio 2007 al 16 maggio 2010) e i già dirigenti del settore Provveditorato, Economato e Bollettino ufficiale, Giuseppe Longo e Valeria Fedele (il primo in servizio dal 7 ottobre 2009 al 31 agosto 2010, la seconda dall’1 settembre 2010 all’8 settembre 2011).
LA VICENDA Il caso, già sollevato dal Corriere della Calabria (sotto, il servizio dell’ottobre 2013), riguarda le proroghe ai contratti della Abramo printing&logistic che, secondo la ricostruzione della Procura, sarebbero state concesse in modo illegittimo e «in assenza di ogni iter procedimentale».
L’ex dirigente Izzo, in particolare, dopo la richiesta dell’azienda catanzarese, avrebbe rinnovato – ancor prima della scadenza della prima proroga, fissata al 15 maggio 2010 – il contratto in essere attraverso un nuovo atto, con decorrenza retroattiva all’1 gennaio 2009 e con un adeguamento al rialzo delle condizioni economiche del precedente contratto. Il prezzo per pagina sarebbe così passato da 0,01917 a 0,03520 euro. Longo, invece, avrebbe prorogato di altri sei mesi lo stesso accordo, dal 14 maggio al 14 novembre 2010.
Altre «ripetute proroghe» sarebbero state concesse dalla dirigente Fedele, «sulla scorta di note e atti amministrativi» e «in assenza di ogni iter procedimentale». L’ex responsabile del Provveditorato, infatti, avrebbe firmato i rinnovi, spesso tramite proroghe tacite, almeno altre sei volte, per un periodo che va dal novembre 2010 al gennaio 2013. Nella maggior parte dei casi era già in vigore la legge regionale 11, che prevedeva l’istituzione del Burc «esclusivamente in formato telematico».
(Il servizio del Corriere)
LE VIOLAZIONI I dirigenti sotto inchiesta avrebbero disatteso le norme relative alle procedure di evidenza pubblica, «in assenza – scrive il pm nella richiesta di rinvio a giudizio – dei presupposti legittimanti deroghe al divieto di proroga dei contratti di pubbliche forniture, violando altresì il divieto di rinnovo tacito dei contratti». Inoltre, non sarebbe stato rispettato l’impegno, assunto dalla ditta Abramo, «alla rinuncia della revisione del prezzo per tutta la data del contratto». Questi “taciti accordi” avrebbero quindi procurato alla Abramo printing un «ingiusto vantaggio patrimoniale» con un corrispondente danno per la Regione quantificato in più di 4,5 milioni di euro, «rappresentato dal maggior esborso di denaro scaturente dall’illegittimo adeguamento del prezzo per effetto di un contratto stipulato in violazione di legge».
LA POLEMICA La vicenda del Burc aveva provocato attriti nell’allora maggioranza di centrodestra guidata dal governatore Scopelliti, all’epoca alleato del sindaco Abramo. Era stato il consigliere regionale del Pdl Giuseppe Caputo, durante la seduta del 6 settembre 2013, a puntare il dito contro la sua stessa coalizione: «Anche le leggi di questo consiglio regionale spesso vengono disattese. Nel gennaio 2012 (…) sarebbe dovuto scattare il Burc telematico, avremmo risparmiato milioni di euro».
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
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