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COSTA PULITA | I clan vibonesi puntavano alle coop del Nord

CATANZARO Si trovava in un bar di Nicotera Marina il quartier generale di Pantaleone Mancuso, 55 anni, alias “Scarpuni”, boss dell’omonima cosca del vibonese. Qui Mancuso dirimeva querelle, risolve…

Pubblicato il: 20/04/2016 – 12:56
COSTA PULITA | I clan vibonesi puntavano alle coop del Nord

CATANZARO Si trovava in un bar di Nicotera Marina il quartier generale di Pantaleone Mancuso, 55 anni, alias “Scarpuni”, boss dell’omonima cosca del vibonese. Qui Mancuso dirimeva querelle, risolveva problemi, metteva a posto pretese di credito. Al suo tavolo preferito sedeva con i capi delle varie articolazioni delle cosche che operavano sul vibonese ma anche con soggetti estranei alla criminalità che si rivolgevano al boss per mettere a posto problemi e divergenze. È questo il particolare «inquietante» – come lo ha definito il procuratore facente funzioni di Catanzaro Giovanni Bombardieri – emerso, tra gli altri, dall’operazione “Costa pulita” che mercoledì mattina ha portato al fermo di 23 persone e al sequestro di beni per 70 milioni di euro nei confronti di soggetti indagati a vario titolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti. «L’indagine – ha specificato Bombardieri – è una prosecuzione investigativa dell’attività giudiziaria che ha portato, oggi, al processo Black Money». Le intercettazioni ambientali danno lo spaccato inquietante di un boss che si erge ad arbitro per dare ragione e torto a chi gli si rivolge.



LE MANI DEI CLAN SULLE COOPERATIVE AL NORD E SULLE RISORSE TURISTICHE DEL SUD «Una volta si chiedevano i soldi ora non c’è bisogno di chiedere i soldi, chiediamo il lavoro e le assunzioni». La frase intercettata ad Adriano Greco, 34 anni di Briatico, tra i fermati nell’operazione “Costa Pulita” dà l’immagine dell’evoluzione dell’attività delle estorsioni nelle sue varie espansioni patrimoniali. Il particolare è stato reso noto nel corso della conferenza stampa sull’operazione interforze coordinata dalla Procura distrettuale di Catanzaro e che ha portato al fermo di 23 persone sequestro di beni per 70 milioni di euro nei confronti di soggetti indagati a vario titolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti. La regia occulta dietro agli affari di consorterie come Accorinti, La Rosa ed Il Grande, era del boss di Limbadi Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni. Era lui, secondo gli inquirenti, che dava il placet per i traffici illeciti, o la consegna di ordigni esplosivi, come quello che nel 2013 doveva servire alla cosca Loielo contro i rivali Emanuele. Dietro le quinte Mancuso tira i fili degli affari illeciti, come quello degli Accorinti per le minicrociere per le Eolie o la spartizione dei proventi derivati dalla vendita di un villaggio turistico. Ma le attività della criminalità vibonese escono dai circuiti calabresi – hanno scoperto le indagini coordinate dai sostituti Camilo Falvo e Pierpaolo Bruni – arrivando a estendere le proprie mire sulla gestione delle cooperative del Nord Italia e in particolare della provincia di Gorgonzola, grazie allo stretto collegamento tra Accorinti e Mancuso. Una volta, appunto, si chiedevano i soldi, oggi la gestione del lavoro.
 Quello che è emerso è che i Mancuso riuscivano a gestire anche le attività di un consorzio di imprese per gestire la navigazione tra la costa tirrenica e le Eolie, arrivando a mettere le mani su gran parte delle risorse turistiche dell’area.

PERICOLO DI FUGA Il fermo si è reso necessario a causa del pericolo di fuga che è emerso da alcune intercettazioni in cui si parlava della possibilità di recarsi all’estero per sfuggire alla cattura. 



TANTO LAVORO E POCHI UOMINI La grossa operazione messa in campo dalla Dda di Catanzaro ha richiesto un impegno non indifferente di forze e uomini. Un lavoro – è stato l’allarme lanciato dal procuratore vicario di Catanzaro – che richiede sforzi immani. «Questa indagine richiederà ulteriori sviluppi e l’impegno ulteriore sia di forze di polizia che di magistrati. Siamo pochi – ha sottolineato il procuratore – ma sono pochi anche gli uffici giudiziari giudicanti». Questa indagine, infatti è stata condotta dal sostituto Camillo Falvo – che oggi è stato costretto a rinviare alcune udienze che aveva a Vibo Valentia – insieme al collega Pierpaolo Bruni che ha già esperienza di indagine nel territorio vibonese. «Come sapete tutti quanti tra poco dovrebbe essere nominato il nuovo procuratore distrettuale. Il nome proposto è quello del dottore Gratteri che rappresenta per noi un incentivo per andare avanti e la sua esperienza specialmente nel campo della criminalità organizzata non può che essere un ulteriore sollecito a lavorare al meglio in collaborazione con le forze di polizia».

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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