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Quattordici condanne per i clan vibonesi a Milano



MILANO Quattordici condanne a pene che vanno dai 2 anni e 5 mesi ai 10 anni e 4 mesi sono state inflitte oggi a Milano al processo con rito abbreviato con al centro le infiltrazioni della ‘ndranghe…

Pubblicato il: 21/04/2016 – 17:20
Quattordici condanne per i clan vibonesi a Milano



MILANO Quattordici condanne a pene che vanno dai 2 anni e 5 mesi ai 10 anni e 4 mesi sono state inflitte oggi a Milano al processo con rito abbreviato con al centro le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel Nord Italia e in particolare il clan Galati di Mileto, ritenuti vicini al potente clan dei Mancuso di Limbadi, quest’ultimi considerati dagli stessi inquirenti tra le cosche più potenti d’Europa. Il gup Giulio Fanales questa mattina, seppur ritoccandole in gran parte al ribasso, ha accolto la richiesta di 14 condanne e di un’assoluzione avanzate dalla Procura. La pene più alte sono state 10 anni e 4 mesi per Antonio Galati, 64 anni, appartenente al ramo familiare dei Galati di Comparni di Mileto, nel Vibonese, 8 anni e 2 mesi per Fortunato Galati, 37 anni, appartenente ai Galati di San Giovanni di Mileto, figlio del boss Salvatore Galati (sta scontando l’ergastolo per duplice omicidio) e 8 anni per Antonio Denami, 30 anni di San Costantino Calabro (Vibo Valentia). Il giudice ha anche inflitto 7 anni a Luigi Addisi, originario di San Calogero (Vibo Valentia) e all’epoca dei fatti consigliere comunale a Rho (Milano). 
La pena più bassa è stata quella di 2 anni e 5 mesi e 10 giorni inflitta all’imprenditore di Gessate, nel Milanese, Luigi Vellone. L’unico assolto, così come chiesto dai pm della Dda Paolo Storari e Francesca Celle, è stato l’architetto del vibonese Francesco Barone, cognato di Pino Galati. Le accuse a vario titolo sono associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, falso, favoreggiamento, minacce aggravate ai danni di un direttore di carcere e detenzione illegale di armi. 
Dall’inchiesta, che nell’ottobre 2014 aveva portato i carabinieri del Ros ad arrestare 13 persone, era emerso, tra l’altro, che le cosche si erano accaparrate due sub-appalti della Tangenziale Est Esterna di Milano, una delle grandi opere collegate a Expo 2015, attraverso un’impresa, gestita da un presunto boss detenuto che sarebbe comunque riuscita ad ottenere la certificazione antimafia.

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