L’ospedale degli orrori, la morte in corsia protetta da un «sistema omertoso», parenti di boss mafiosi che diventano primari e parenti di militanti dell’antimafia che ne occultano le nefandezze falsificando atti pubblici. Fino al carico da undici calato dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin: «La direzione sanitaria non ha mai segnalato nulla e lì sono stati nominati primari senza concorso». Ma ancor prima la coraggiosa denuncia della Uil con il segretario Nuccio Azzarà che tuona: «Ai Riuniti comandano la ‘ndrangheta e la massoneria».
E via con gli esempi, anche recentissimi, come il bando per assumere un… geologo o l’atto aziendale che crea dal nulla un nuovo reparto e ci spedisce a lavorare il rampollo di un casato che ieri e oggi ha controllato gli uffici amministrativi della Regione e dei Riuniti. Tutta colpa di Urbani e Scura? Ma i manager non li ha nominati Mario Oliverio? E la correzione di una legge nazionale per riammettere chi non ha i requisiti, non è stata decisa con una delibera adottata dalla giunta Oliverio?
E adesso tutti a meravigliarsi e tutti a inneggiare ai bravi magistrati che hanno scoperchiato la pentolaccia. Ma siamo davvero sicuri che anche la magistratura reggina sia in regola? Davanti alle cose della sanità non lo è mai stata: troppi congiunti di pm e gip impegnati a scalare carriere mediche dentro agli Ospedali riuniti. Lo stesso ex direttore generale, guarda caso, era figlio dell’ex procuratore capo di Reggio.
Gli orrori sanitari di cui ci si occupa oggi sono vecchi di anni. Le morti dei piccoli e le denunce dei loro genitori risalgono al 2010, le intercettazioni utilizzate per incastrare il «sistema omertoso» sono del 2011 ma solo lo scorso anno sono state trascritte. Il fascicolo che oggi scuote i “Riuniti” e fa gridare allo scandalo il Paese intero, è rimasto a prendere polvere per almeno cinque anni. Fin quando dalla Sicilia arriva il nuovo procuratore aggiunto, Paci, che va a frugare negli armadi dimenticati e trova questa e altre indagini abbandonate all’oblio.
Conferma che alcune “pratiche” trovano corsie preferenziali e tempi asburgici. Specie se riguardano qualche giornalista impiccione. Altre stanno a prendere polvere anche dopo che il pm che ne aveva la titolarità è andato via dalla Procura di Reggio a far danni da qualche altra parte.
Nelle cronache di questi giorni nessuno confessa che il danno è ormai completo: a quello delle famiglie si somma quello di una società in perenne ricerca di giustizia. Infatti, il rischio che tutto finisca in prescrizione, specialmente dopo che il gip ha negato ai pubblici ministeri la contestazione del reato associativo a carico dei medici indagati, è altissimo per non dire certo.
Cosa ha impedito alla magistratura inquirente di chiudere nel giro di due anni una inchiesta che, in quei tempi, poteva tranquillamente arrivare davanti al gip? Forse su questo aspetto sarebbe bene svolgere qualche accertamento.
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