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Nel reparto degli orrori anche la nipote del boss Pesce

REGGIO CALABRIA Non ci sono contestazioni di ‘ndrangheta per i medici del reparto di Ginecologia e Ostetricia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, arrestati la settimana scorsa nell’operazion…

Pubblicato il: 27/04/2016 – 18:46
Nel reparto degli orrori anche la nipote del boss Pesce

REGGIO CALABRIA Non ci sono contestazioni di ‘ndrangheta per i medici del reparto di Ginecologia e Ostetricia degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, arrestati la settimana scorsa nell’operazione che ha scoperchiato il sistema di regolare manomissione delle cartelle cliniche che per anni ha coperto errori e omissioni. Ma le ‘ndrine, i loro rapporti strutturali con la classe dirigente, ma soprattutto la mentalità che hanno imposto a Reggio Calabria e nella sua provincia, emergono con prepotenza dalla fotografia – agghiacciante – del reparto, per anni unico punto di riferimento pubblico per le donne dell’intera provincia.

IL REPARTO DEI NIPOTI DI BOSS A emancipare l’inchiesta Mala sanitas dal grande calderone delle comuni inchieste sulla cosiddetta “mala sanità” non sono semplicemente i rapporti di parentela del principale indagato, Alessandro Tripodi, nipote dell’avvocato Giorgio De Stefano, considerato eminenza grigia dei clan e attualmente detenuto nel supercarcere di Tolmezzo. O meglio non solo i suoi. Stando ad alcune indiscrezioni investigative, anche una collega potrebbe vantare più di un parente accusato di 416 bis. In queste ore, inquirenti e investigatori stanno approfondendo legami e rapporti di un camice bianco che risulta essere la nipote del boss Pesce, perché figlia della sorella del mammasantissima di Rosarno. Un legame che, secondo alcuni, potrebbe aver influito sulla rapida carriera del medico, passato in breve tempo dagli ospedali della provincia a una posizione dirigenziale nel reparto di Ginecologia e ostetricia nell’hub sanitario cittadino.

LA DINASTIA DELL’ASP Spunti per gli investigatori, al pari delle voci che hanno indotto gli investigatori a soffermarsi sulla carriera del dottore Tripodi e dei suoi familiari, tutti con posizioni di responsabilità nei reparti o in Asp. A dividersi i turni con lui in ginecologia c’è il cugino Marcello (attualmente non indagato), fratello del ben più noto ex consigliere provinciale di Forza Italia, Ermete Tripodi, qualche anno fa finito al centro di un clamoroso conflitto di interessi tutto interno all’Asp. All’epoca in cui era direttore generale “facente funzioni” dell’Azienda sanitaria provinciale, si è visto rinnovare per tre anni il contratto da primario direttore della struttura Riabilitazione cardiologica dell’ospedale di Polistena dalla stessa azienda che dirigeva. A dare il via libera alla proroga, come da norma, il direttore del dipartimento Area ospedaliera, Domenico Calabrò, nominato proprio da Tripodi, e il presidente dell’allora nuovo collegio di valutazione, che all’epoca era sempre Calabrò.
Ovviamente, nei due pareri il dirigente non smentisce se stesso e usa parole di miele per valutare l’operato di Tripodi, nonostante il medico fosse già da tempo in aspettativa perché impegnato in incarichi amministrativi. La sorella del dottore Tripodi, Loredana, balzata suo malgrado agli onori delle cronache per l’aborto che il fratello Alessandro le avrebbe procurato a sua insaputa, ha fatto carriera nell’Asp. Attualmente, a poco più di 45 anni, è direttrice del Servizio farmaceutico territoriale, vale a dire delle forniture e dell’approvvigionamento dell’intera azienda.

UNO ZIO PERSUASIVO Tutti elementi che inquirenti e investigatori stanno valutando per avere un quadro chiaro del clima tanto in ospedale, come in reparto, dove certi nomi sembrano essere invocati quasi a garanzia di un potere “altro”. E per di più molto più “persuasivo” delle norme e delle leggi dello Stato di diritto. Un potere che, a detta degli investigatori, emerge in modo chiaro proprio da una conversazione fra i due cugini Tripodi, Marcello e Alessandro, sorpresi a chiacchierare dopo un gravissimo incidente successo in sala parto. In seguito all’anestesia, una donna ha avuto una gravissima crisi cardiaca che l’ha ridotta in fin di vita e da cui si è salvata solo al prezzo di gravissime lesioni neurologiche. Un guaio per ginecologi e ostetrici che finisce al centro di serrate trattative fra i due reparti, interessati, in primo luogo, a “sistemare” le cose in modo che nessuno debba rispondere dei propri errori di fronte alla magistratura. E allora, forse non a caso, Alessandro Tripodi non va da solo all’appuntamento con il primario di Anestesia, Giuseppe Santamaria. «Ma siccome c’era, c’era pure mio zio – dice il dottore Tripodi al cugino e collega – mi dice: “La vuoi sapere la verità?”… omissis… È stata la spinale … “non dite niente a nessuno”, dice, “perché”… omissis… “Musitano ha capito tutto, già mi ha chiamato”. Hanno fatto una riunione pure tutti fra di loro. Dice che è stata quella… omissis… e poi dice che l’hanno “smerdiato”, perché non l’ha intubata subito, gliene hanno dette di tutti i colori». Uno “zio” che, secondo alcune fonti, potrebbe essere proprio l’avvocato Giorgio De Stefano. Esattamente lo stesso professionista che al primario Pasquale Vadalà viene in mente di chiamare quando un’indagine della procura lambisce lui e il suo reparto.

CHE FACCIO, AVVOCATO? Nonostante la pesante condanna già passata in giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa, l’avvocato Giorgio è il primo nome che al primario viene in mente fra gli oltre duemila avvocati iscritti al foro di Reggio Calabria. Un colloquio di carattere professionale – il dottore, visibilmente preoccupato, voleva capire come dovesse procedere dal punto di vista legale dopo il sequestro della cartella – ma che ha decisamente incuriosito investigatori e inquirenti.

QUELLI NON SI DENUNCIANO Al pari della denuncia della madre di una paziente, rimasta parzialmente invalida dopo un cesareo. La donna nella sua querela ha voluto specificare non solo le presunte responsabilità dell’equipe medica del reparto di ginecologia e ostetricia, ma anche le incomprensibili pressioni del marito della figlia. Amico di famiglia del dottore Tripodi, l’uomo insisteva infatti perché la moglie desistesse dal proposito di far denuncia «per avere una vita più tranquilla».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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