ROMA A Roma si decide il futuro del Pd nella città di Cosenza e non solo. E mentre la riunione inizia, Ernesto Magorno – che del Pd calabrese è il segretario regionale – sale mestamente la scaletta del volo che lo riporta a Lamezia Terme. Lui a quella riunione non è stato invitato, anzi non è neppure gradita la sua presenza e se si presentasse non invitato la riunione finirebbe prima di cominciare perchè si tratta di una riunione a tre: Marco Minniti, Luca Lotti, Tonino Gentile.
E siccome Magorno a Roma era salito per “imporre” a Renzi di cacciare dal governo il senatore Antonio Gentile è chiaro che adesso a quel tavolo il sottosegretario lo ritiene «persona non gradita». In Giappone, per molto meno, si usava srotolare un panno candido di lino, inginocchiarsi e squarciarsi il ventre. In Germania, meno cruentemente, per molto meno prende la via dell’esilio. Anche in Francia, per molto meno, uomini che pure hanno fatto la storia di quel Paese, sono andati in Africa a dedicarsi a progetti di sviluppo.
E in verità anche nella nostra italietta qualche esempio di dignità applicata alla politica lo abbiamo avuto: D’Alema perse le amministrative e si dimise da Primo ministro. Persino in Calabria quando a Reggio fallì il centrosinistra si ebbero le dimissioni dell’intero comitato provinciale e del segretario regionale, che pure era il potente sottosegretario Franco Quattrone.
Si dimetterà Magorno? Lasciando chi ne ha voglia alle prese con questo interrogativo, registriamo l’evoluzione romana della vicenda. Dire che nelle tre ore di vertice a Palazzo Chigi è stata trovata una soluzione sarebbe falso. Parimenti sarebbe falso affermare il contrario. Per uscire dal pantano cosentino c’è un solo nome sul tavolo, quello di Carletto Guccione, consigliere regionale più votato in Calabria ed assessore della prima giunta Oliverio per un semestre. Poi, con la scusa di Rimborsopoli, il governato(re) lo ha spedito a casa perchè lui con chi ha una indagine in corso non vuole avere a che fare. Se invece trattasi di persona condannata con sentenza passata in giudicato e, soprattutto, cara alla premiata ditta Enza&Nicola, le porte della Cittadella si spalancano.
Guccione oppone alla indicazione ed alle pressioni che arrivano da Roma un ragionamento squisitamente politico: «Che senso ha candidarmi oggi? Io avevo chiesto la candidatura ma passando per le primarie, in quel caso avrei affrontato con lealtà il mio amico Paolini e chi vinceva diventava il candidato di tutti. Adesso dovrei competere con Paolini, sottrargli qualche voto e alla fine fare l’interesse del centrodestra».
Poi butta lì: «A meno che…». Proseguiamo noi, a meno che non si attivi un recupero, personale prima ancora che politico, del rapporto con Enzo Paolini. Si ragiona insieme e si vede di trovare una soluzione condivisa. Il torcibudella della “premiata ditta” non impensierisce nessuno. Produrrà qualche insulto e qualche hashtag ad uso personale, ma niente di più. Del resto vanno capiti: miravano al “trono di spade” e si ritrovano con lo sgabello dello stalliere. La strada Guccione si può tentare di percorrerla ma serve tempo. Si decide per questo di trasformare in permanente il tavolo romano che, ovviamente, resterà ristretto ai tre commensali odierni: Minniti, Lotti e Gentile. Insieme dovranno sbrogliare la matassa. E non è detto che non ci riescano…
Paolo Pollichieni
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