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Investire davvero nelle start up

A fare start-up oggi sono spesso giovani laureati e no, alle prese con la loro prima esperienza lavorativa. Questi baldi giovani decidono di investire su loro stessi cercando di sviluppare un proge…

Pubblicato il: 29/04/2016 – 19:18

A fare start-up oggi sono spesso giovani laureati e no, alle prese con la loro prima esperienza lavorativa. Questi baldi giovani decidono di investire su loro stessi cercando di sviluppare un progetto con al centro delle idee, spesso innovative, frutto della loro intuizione o percorso di studi. Alcune start-up (o spin-off) nascono in seno ad una azienda (università, laboratori di ricerca) che decide di creare un ramo dedicato alla ricerca e sviluppo, inglobando giovani menti e idee fresche per innovare prodotto o processo o partorire idee nuove e quindi brevetti. Questo, quantomeno nelle prime fasi, sembrerebbe il modo migliore di fare start up. Coniugherebbe le esigenze lavorative ed espressive di tanti giovani, dando sfogo alle loro intuizioni, rispettando le esigenze di sviluppo dell’azienda. Porterebbe ad un contenimento dei costi, potendo contare su finanziamenti ed agevolazioni fiscali, molto facili da reperire per chi ha già una struttura operante da tempo. Abbatterebbe i costi necessari per indagini sul mercato riferimento, rete commerciale, accesso al credito, che tale azienda conosce da tempo. Azzererebbe i costi necessari per la formazione dei “giovani”, potendo formarli internamente all’azienda mettendo loro a disposizione le diverse conoscenze tecnico/economiche frutto di anni di lavoro. I giovani darebbero una veste ed una visione “moderna” all’azienda, grazie ala loro conoscenza in ambito Ict, dei nuovi sistemi di comunicazione ed e-commerce, e dei servizi on line.
Altre start-up, nascono invece col solo intento di intercettare finanziamenti senza peraltro avere al centro una idea, un progetto o mission specifica. Tali aziende, forti del legame politico che hanno, e favoriti da un sistema clientelare che mette da parte la meritocrazia e la competenza, riescono a farsi strada spesso precludendo le opportunità a giovani talenti che puntano solo sulla competenza. Questo tipo di dinamica ed azienda è un problema molto radicato. Nel caso di start-up nate da iniziative personali, un primo scoglio da superare sono le prime fasi (valorizzare e tutelare la propria idea e capire il grado di maturazione e dare dei numeri alle fasi del progetto) connesse, spesso, alla semplice conoscenza e competenza nel redigere un Business Plan, un piano finanziario e di sviluppo e relativo conto economico, nonché, cosa molto importante, proteggere la proprietà intellettuale.
I problemi, per le start-up nate in seno ad aziende ed enti, potrebbero presentarsi un pò più avanti, quando, confezionata la proposta, si tratta di aggredire il mercato di riferimento, e trovare partners ed investitori che diano plus valore e concretezza al progetto.
In entrambi i casi il problema comune potrebbe essere rappresentato dal quadro culturale-tecnico-economico di riferimento.
Spesso, infatti, la competenza in materia di proprietà intellettuale è carente, sia da un punto di vista legale che tecnica (commercialisti, legali e notai poco preparati, pochi mandatari e molto onerosi, uffici brevetti e marchi pronti soltanto a ricevere la domanda, strutture che offrono supporto in ambito brevettuale ancora in evoluzione). Spesso le start-up si ritrovano a fare da sole non trovando alcun sostegno tangibile, per tutelare/valorizzare un progetto, dargli una veste industriale/commerciale e farlo “esplodere”. È evidente che spesso, sia dal lato di chi costituisce start-up, sia dal lato di chi offre servizi o supporti, non c’è la reale conoscenza degli step da seguire per creare una start-up o una semplice srl, sia dal punto di vista normativo che economico. Pochi sanno quanto costa un’anno di vita di una start-up, quanto costa proporsi e affrontare le spese di strasferta per partecipare ad eventi che possano far conoscere l’idea o mettere in contatto con fondi e investitori. Pochi sanno quanto costa realizzare un prototipo funzionante di talune idee progettuali. Altro problema, come accennatto, è il reperimento dei fondi. Sembra infatti che, non ci sia tutta questa rete di investitori e partner finanziari, ma che si debba ricorrere spesso, in particolare nelle prime fasi, ad un auto-finanziamento (che può essere più o meno contenuto uando si parla di Ict e web Application, ma molto oneroso quando si tratta di idee industriali, fonti rinnovabili, agro-alimentari e quant’altro) o ad un finanziamento pubblico, che spesso risulta appannaggio di “pochi”, che come detto “fanno” start-up in maniera discutibile e col solo fine di accaparrarsi questo o quel finanziamento. Un problema può essere rappresentato da come ci si relaziona con le business competition e laboratori simili. Queste non sono un ponte di collegamento tra idee e capitali, ma un meraviglioso momento formativo e di scambio culturale, e come tali bisogna considerarli, altrimenti si corre il rischio di rimanere impantanati nella formazione continua. Non bisogna aspettarsi dalle business competition premi sostanziosi, ma semplici riconoscimenti (vedi Pni 2015), poiché spesso i premi in denaro non sono necessari per sostenere neanche il primo anno di vita dell’azienda. Ci sono, però, anche business competition sponsorizzati da partner importanti i cui premi possono essere “generosi”. In tal caso il problema può essere rappresentato dal contratto di “collaborazione” che tali Partner offrono e dalla tutela della proprietà intellettuale. Altro problema è rappresentato dalle aziende semplificate o simil tale (srl a 1 euro). Nessun investitore e nessuna banca prenderà in considerazione una azienda che non garantisca per se stessa e il loop si chiude nuovamente coi finanziamenti pubblici, per i quali sembra ci debba essere sempre un veicolo politico, piuttosto che la forza e centralità di un progetto. Spesso si ha la sensazione che alcune strutture, nate per dar supporto alle start-up, siano troppo concentrate sull’organizzazione di eventi di facciata, promozionali, e non guardano alle reali esigenze e bisogni di chi cerca di costruire un futuro (non solo per se ma anche per altri). Allo stesso modo si avverte la sensazione che non ci siano tutti questi capitali a disposizione delle idee e che si possa accedere al credito o/finanziamento solo con mircroprogetti perlopiù improntati su Ict e web application, il cui investimento e rischio è minimo, e il cui ritorno immediato e remunerativo; microprogetti che ciascuno di noi può finanziare e il cui riscontro occupazionale è molto limitato. Il problema è la scarsa capacità e voglia di rischiare, non da parte dei giovani innovatori, ma da parte di venture capitals, angel investors, banche e quanti possono contare su un “capitale di rischio”. Il primo passo verso la soluzione dei problemi accennati sopra sarebbe quello di invertire la triste tendenza di creare start-up col solo fine di intercettare soldi ponendo al centro un progetto concreto e duraturo, piuttosto che preoccuparsi di intercettare i favori politici per “tirare a campare”. In tale senso una soluzione è rappresentata da persone giuste; persone che diano peso al contenuto e siano estranee alle solite dinamiche politiche che hanno spezzato i sogni di conterranei che avrebbero voluto spendersi per la Calabria, ed oggi si ritrovano a vagare altrove, a dar lustro a una terra che nn è la loro. Basterebbe porre al centro meritocrazia e trasparenza e non auto-referenziazione. Le business competition, laboratori di co-working e simili possono rappresentare una soluzione nelle prime fasi di sviluppo. Importantissimo è saper individuare il grado di maturazione dell’idea. Queste strutture possono dare quella formazione di base tesa a guardare al problema dalle diverse angolazioni (tecnico\economiche\comunicative), dando una presentabilità all’idea, migliorandone la visibilità, attraverso le diverse competenze e conoscenze. Una soluzione può e deve essere un nuovo modello strategico organizzativo che sostenga le start-up e crei un ponte tra pubblico e privato, attraverso una rete di partnership e compet
enze che abbatta la distanza tra le idee ed il credito. Un’importante soluzione può venire dal pubblico che ha il dovere di Innovarsi ed Innovare, mettendo a disposizione delle proprie risorse e degli altri enti, pubblici e privati, soluzioni all’avanguardia che possano costituire le basi su cui far crescere altra competenza ed altre aziende. Innovazione è anche ottimizzazione di processo/prodotto. Innovare un processo od un prodotto già radicato sul territorio presenta innumerevoli vantaggi sia dal punto di vista commerciale (prodotto già presente sul mercato; potenziamento della rete di counicazione, trasporto e distribuzione, aumento dei volumi di vendita ottimizzazione del processo di produzione al fine di ottimizzare la filiera produttiva) che dal punto di vista occupazionale (aumento delle risorse in relazione all’aumento dei volumi di produzione). La vera innovazione può essere rappresentata dall’amplificazione delle potenzialità di qualcosa di esitente e radicata sul territorio. Innovazione non è sviluppare qualcosa che il territorio nn può sostenere e alimentare, ma ampliare ciò che il territorio può recepire, consumare e sostenere. Innovazione in Calabria non sono sistemi e soluzioni che trovano mercato altrove e che quindi, non portano valore aggiunto alla nostra terra enon muovono l’economia regionale. Innovazione in Calabria, ad esempio, possono essere strumenti e soluzioni per l’agricoltura, l’allevamento, la cultura, il turismo e anche i trasporti. Innovazione in Calabria è potenziamento e valorizzazione, ammodernamento e sviluppo delle eccellenze proprie della regione. Immaginate un turismo con servizi all’avanguardia, una cultura accessibile a 360 gradi, collegamenti veloci ed ad impatto zero, agricoltura e allevamento che producono energia, oltre a beni alimentari, attraverso la trasformazione e il trattamento dei prodotti di scarto. Tante sono le soluzioni applicabili in questi campi, ma bisogna guardare a loro come opportunità di crescita, di innovazione e occupazione e non come mera speculazione finanziaria, come fatto dai furbi incapaci sostenuti dalla politica dello scambio, i cui risultati sono competenze a spasso, impianti fermi e incompleti, e territori violentati. In tal senso quindi, una soluzione può essere quella di individuare investimenti e partnership mirati e contestualizzati. Bisogna puntare su linee di intervento ad hoc per il nostro territorio, da qui l’importanza di poter interloquire e proporre, consapevoli che bisogna tener lontano la propaganda politica e l’improvvisazione al fine di evitare di ritrovarsi con idee e risorse parcheggiate ed asservite al consenso elettorale. Programmazione e competenza devono stare alla base di ogni iniziativa, soltanto cosi si può realmente sostenere e incoraggiare l’economia e gli investimenti. In tal senso una soluzione può essere quella lavorare nell’ottica di progetti start-up “importanti”, che abbiano una ricaduta forte nell’ambito socio-imprenditoriale e che possano essere un viatico occupazionale, attraverso il coinvolgimento di numerose competenze e maestranze presenti sul territorio e dei centri di ricerca, da sempre purtroppo poco sostenuti.
Ergo, si deve investire in tal senso, per non assistere alla nascita di start-up che durano un biennio e vedono impegnate due risorse. In buona sostanza start-up e imprenditori hanno bisogno di strumenti seri e duraturi, affinché l’esperienza imprenditoriale non sia “Artigianato 2.0: imparare un mestiere autofinanziandosi”, ma un’opportunità di crescita per l’intero terrotorio.

*ingegnere meccanico

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