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Colpo alla cosca Fontana, maxi confisca da 27 milioni

REGGIO CALABRIA Cinque imprese, quattordici fabbricati, venti terreni, quarantatrè automezzi e rapporti finanziari, per un valore stimato pari a circa 27 milioni di euro: sono questi i numeri …

Pubblicato il: 03/05/2016 – 6:04
Colpo alla cosca Fontana, maxi confisca da 27 milioni

REGGIO CALABRIA Cinque imprese, quattordici fabbricati, venti terreni, quarantatrè automezzi e rapporti finanziari, per un valore stimato pari a circa 27 milioni di euro: sono questi i numeri del sequestro e contestuale confisca eseguita questa mattina dagli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, nei confronti di Giovanni Fontana e dei suoi quattro figli, Antonino, Francesco Carmelo, Giuseppe Carmelo e Giandomenico. Lo ha deciso la sezione misure di prevenzione del tribunale, che ha accolto la richiesta formulata dalla procura della Repubblica, all’esito delle articolare indagini dei finanzieri, disponendo anche una misura di prevenzione personale nei confronti del boss Fontana e dei suoi figli, tutti a vario titolo sottoposti alla sorveglianza speciale per un periodo variabile dai tre ai cinque anni. Considerati vero e proprio nucleo direttivo e colonna vertebrale dell’omonimo clan, Fontana e i suoi quattro figli sono tutti in carcere per associazione per delinquere di tipo mafioso e trasferimento fraudolento di valori aggravato dalle finalità mafiose. Ma su di loro ha per lungo tempo lavorato anche il nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza, che grazie ad una mirata attività di indagine e di analisi economico-finanziarie, ha accertato una palese sproporzione tra l’ingente patrimonio individuato e i redditi dichiarati dal soggetto investigato, tale da non giustificarne la legittima provenienza.
Uno spaccato emerso in maniera cristallina dall’analisi di un’enorme mole di in contratti di compravendita di beni immobili, di quote societarie, atti notarili, riferibili ai Fontana, attraverso il quale è stata ricostruita ogni singola operazione economica effettuata dal clan dal 1980 al 2011. Tre decenni durante i quali i Fontana non hanno solo accumulato un patrimonio ingiustificabile se rapportato alla lecita capacità reddituale dichiarata dai soggetti investigati, ma sono finiti al centro anche di diverse indagini della Dda, dalla storica Olimpia alla più recente Athena 99. Tutte inchieste da cui emerge in modo palese la figura di Giovanni Fontana, affermatosi sulla scena criminale reggina fin dalla seconda guerra di mafia e tuttora influente in città.
Condelliano della prima ora negli anni della guerra e vertice operativo dello schieramento antidestefaniano negli anni di detenzione di Pasquale Condello, nel gennaio ’88 il boss fontana deve cedere lo scettro al “Supremo”, pur continuando a rivestire un ruolo di peso nello schieramento antidestefaniano. Solo dopo la pax siglata nel ’91 fra destefaniani e condelliani, pagherà in termini di territorio e prestigio la perdita del favore del “Supremo”. Nonostante questo, Giovanni Fontana non solo ha continuato a rivestire un ruolo determinante all’interno dell’omonimo clan, ma – stando a quanto emerso dalle indagini – sarebbe stato delegato a gestire affari fondamentali per il direttorio dei clan reggini forgiato dalla guerra, come la gestione dei rifiuti. Anche grazie ai figli, nonostante carcere e latitanza, il boss Fontana è riuscito a mantenere una posizione di rilievo all’interno del panorama criminale reggino, infiltrandosi nel lucroso settore delle società miste, considerato dalla ‘ndrangheta uno dei settori più redditizi e, allo stesso tempo, indispensabile per attuare il pieno controllo mafioso delle attività economiche. Su mandato del direttorio e grazie alla compiacente disponibilità di coloro che la gestivano, i Fontana hanno messo le mani sulla Leonia spa, società mista del Comune di Reggio Calabria, affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani. Per il clan, ha significato controllare direttamente tutte le attività economiche legate al settore dello smaltimento dei rifiuti e della distribuzione di carburante, ma anche la raccolta delle somme necessarie per il pagamento delle tangenti da corrispondere al direttorio.
Tutti elementi portati dagli investigatori all’attenzione del Tribunale di Reggio Calabria, che per questo motivo ha qualificato le imprese confiscate come rientranti nel genus dell’“impresa mafiosa”, disponendone il sequestro e la contestuale confisca. Per i giudici «sussistono plurimi e convergenti elementi di fatto che consentono di sostenere che le società, a prescindere dalla provenienza delle risorse genetiche, che tuttavia nel caso in esame deve escludersi, si siano progressivamente ampliate e siano cresciute fino a diventare la realtà economica fotografata nelle indagini solo grazie alla personale attività dei proposti che sono così riusciti ad ottenere la stipula di contratti e aggiudicazioni del tutto al di fuori delle libere logiche concorrenziali attraverso lo sfruttamento delle proprie conoscenze».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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