REGGINA Non sono state le presunte combine di Calciopoli, né le accuse di mafia da cui si sta difendendo il suo ex vicepresidente, tanto meno le dichiarazioni dei pentiti: a inguaiare l’ex presidente della Reggina, Lillo Foti, sono stati presunti conti mendaci o fatti male. Per il pm Stefano Musolino – che ha chiesto il sequestro preventivo e urgente delle quote sociali della Reggina calcio e diverse società ad essa collegate – la società pur di evitare il fallimento avrebbe infarcito i bilanci di crediti assolutamente fasulli. Per questo motivo, sul registro degli indagati è finito non solo Foti, cui viene contestata la bancarotta concordataria, ma anche uno degli ultimi amministratori della società, Giuseppe Ranieri. Per l’accusa, entrambi avrebbero predisposto gli atti necessari ad attestare un credito di 190mila euro dalla Juventus spa e dalla Figc, solo per dribblare il fallimento ed accedere alle procedure di concordato preventivo. In particolare, per il pm la convenzione con la squadra bianconera, prevederebbe si’ l’utilizzo del marchio “Juventus” per la scuola calcio di Lillo Foti, ma il club torinese avrebbe solo un diritto di prelazione per l’eventuale acquisto di giocatori talentuosi, non esisterebbe invece un accordo di versare alle casse della Reggina 150 mila euro l’anno, come asserito dall’ex presidente della società in sede di concordato. Inoltre, sempre secondo la Procura, non vi sarebbe nemmeno un accordo con la Federazione sulla corresponsione di circa 40 mila euro. In più, la concessione del Sant’Agata – struttura già messa parzialmente sotto sequestro qualche mese fa- sostanzialmente sarebbe già scaduta, quindi la Reggina avrebbe perso i diritti di rinnovo della convenzione per l’utilizzo della struttura. Infine, la Reggina non solo non vanterebbe nessun credito nei confronti del Comune di Reggio Calabria, ma anzi la posizione della Reggina nei confronti di Palazzo S, Giorgio sarebbe di debitore. Un debito, che al pari di altri, Foti avrebbe occultato per poter accedere alla transazione con il tribunale fallimentare.
Una gestione disinvolta di conti e fatture, per cui Foti in un passato anche recente è finito nei guai. Il suo nome è finito infatti anche nell’ultima tranche dell’inchiesta sul calcio sporco della procura di Napoli. È successo per il prestito dal Siena del calciatore Daniele Danti, rappresentato da Moggi, il quale avrebbe prodotto una fattura di 15mila euro più Iva legata a un inesistente contratto di mandato, grazie al quale il presidente Foti avrebbe potuto scaricare le spese e il giocatore evadere le tasse. Cifre irrisorie rispetto a quelle che ballavano sui tavoli di contrattazione – altrettanto truccati – delle stelle del pallone, ma ugualmente penalmente rilevanti per i pm napoletani che a Foti contestano il reato di evasione fiscale e false fatturazioni. All’epoca infatti, Moggi jr assisteva ufficialmente il calciatore, ma dalla documentazione sequestrata nella sede della società – una promessa di pagamento e ricognizione di debito sottoscritta da Foti più diversi moduli federali – risulta che il procuratore aveva svolto una consulenza per il club proprio nell’ambito della trattativa relativa all’acquisto del giocatore. Per i magistrati «è ragionevole ritenere che tale fattura sia stata emessa solo al fine di far sostenere l’onere economico al club in luogo del soggetto reale beneficiario della prestazione, il calciatore Danti». Ma per la società non si tratta certo di un danno. Poteva infatti scaricare il tutto dalle spese. Per questo motivo, il gip ha disposto l’immediato sequestro di tremila euro a carico di Foti. Una cifra irrisoria rispetto a quella pretesa dal pm Musolino, che ha ordinato alla Guardia di finanza di mettere i sigilli a società e quote sociali.
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