CASSANO ALLO JONIO Resteranno in carcere Cosimo Donato, 38 anni, detto “topo”, e Faustino Campilongo, di 39, detto “panzetta”. I due sono accusati dell’omicidio del piccolo Cocò Campolongo, il bambino di soli tre anni ucciso e bruciato in auto il 16 gennaio 2014, a Cassano allo Jonio, assieme al nonno Giuseppe Iannicelli (52) e alla compagna marocchina di questi Ibtissam Touss (27). Lo ha deciso la prima sezione penale della Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso presentato dai difensori di Donato e Campilongo.
In particolare, secondo l’accusa contestata dalla Dda di Catanzaro, i due avrebbero attirato in una trappola Giuseppe Ianniccelli, per conto del quale spacciavano droga, perché divenuto un personaggio scomodo per la cosca di ‘ndrangheta degli Abbruzzese e anche per aumentare il proprio potere criminale. Cocò, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, era stato ucciso perché il nonno lo portava sempre con sé, come uno “scudo umano”, per dissuadere malintenzionati dal colpirlo.
Dopo il triplice omicidio, gli assassini bruciarono l’auto di Iannicelli con all’interno i tre corpi. Nel loro ricorso i difensori di Donato e Campilongo, gli avvocati Vittorio Franco, Ettore Zagarese e Mauro Cordasco, avevano contestato alcune testimonianze raccolte durante le indagini dai carabinieri definendole «non credibili e tardive». Tesi contrastata dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro Vincenzo Luberto – che è stato tra i magistrati che hanno coordinato le indagini – che ha ribadito la bontà delle testimonianze definendo “granitico” l’impianto accusatorio. Giudizio quest’ultimo condiviso anche dai giudici del Riesame di Catanzaro e dalla Suprema Corte. A Donato e Campilongo è stata notificata l’ordinanza per l’omicidio di Cocò il 12 ottobre 2015, ma erano già detenuti dal dicembre 2014 per una tentata estorsione.
mi.mo.
x
x