COSENZA «Da tempo avevo sospetti che all’interno del box fosse contenuto qualcosa di “illecito” o “pericoloso” ma ignoravo che nello specifico si trattasse proprio di armi. Questo sospetto era nato in me dagli avvertimenti che mi aveva fatto Damiano Galizia, e in particolare Galizia mi aveva intimato di stare lontano dal box e addirittura di evitare di transitare con la macchina in prossimità dello stesso». Sono tali paure a spingere Francesco Attanasio – reo confesso della morte del 31enne Damiano Galizia, avvenuta a Quattromiglia di Rende – a «segnalare in via riservata alla squadra mobile della Questura di Cosenza che all’interno del box affittato grazie alla mia intermediazione, si trovasse qualcosa di illecito. Effettivamente poi la squadra mobile intervenne e rinvenne un considerevole numero di armi da fuoco». È il racconto che Francesco Attanasio fa agli agenti della Mobile alle 4 di notte del 2 maggio quando – davanti al pm Giuseppe Visconti (le indagini sono coordinate dal procuratore capo Dario Granieri e dall’aggiunto Marisa Manzini) – confessa di aver ucciso a colpi di pistola Galizia, «suo compaesano» di San Lorenzo Del Vallo perché pressato dalle continue richieste di restituzione di un prestito di 17mila euro. Attanasio la notte del 1 maggio si reca negli uffici della Questura per confessare l’omicidio commesso lo scorso 26 aprile. Infatti, alle prime luci dell’alba del 2 maggio, gli agenti della Mobile (guidati dal vicequestore aggiunto Giuseppe Zanfini) trovano in un appartamento di contrada Dattoli, nei pressi dell’Università della Calabria, il cadavere di Damiano Galizia, 31enne che proprio quel lunedì 2 maggio sarebbe diventato papà. Il racconto di Attanasio viene confermato dal ritrovamento del cadavere e della presunta arma del delitto, una Beretta calibro 9, nell’abitazione di Attanasio.
LA SOFFIATA SULL’ARSENALE Il 33enne, (che lavora nel settore dell’editoria e del marketing) proprio quel 26 aprile – poco prima di commettere l’omicidio) ha contattato in modo riservato la squadra mobile di Cosenza per segnalare la presenza di materiale «sospetto e illecito» in un box che si trova nel complesso “Il Girasole” che per suo tramite era stato affittato a Damiano Galizia. E nel quale gli agenti il 27 aprile trovano una vera e prorpia “Santabarbara”. Attanasio – spiegherà poi meglio al magistrato – avrebbe fatto da «mediatore» per l’affitto di quel box che serviva al suo compaesano Galizia e che era nella disponibilità di una signora del Crotonese. Ma Attanasio non sarebbe stato a conoscenza di che cosa ci fosse custodito. Aveva, però, dei timori supportati anche dal fatto che Galizia gli avrebbe intimato di non passare da lì e dal fatto che anche la proprietaria era stata interpellata dalla polizia per sapere chi avesse la disponibilità di quel box perché erano in corso dei controlli. A quel punto Attanasio – che ribadisce di non sapere che quel box custodisse le armi – il 26 aprile prima di incontrarsi con Galizia avverte la Mobile del materiale sospetto nel box. Poi, quel 26 aprile succede qualcosa di irreparabile.
IL RACCONTO DELL’OMICIDIO Attanasio attorno alle 18 del 26 aprile scorso incontra Damiano Galizia, che – a suo dire – gli chiedeva sempre «favori» nei pressi dello svincolo autostradale di Cosenza nord, nei parcheggi del centro commerciale Marconi, per discutere «di varie questioni» e in particolare dell’acquisto di un’automobile da parte della vittima e per tale acquisto Attanasio avrebbe fatto di nuovo da intermediario. «Infine avremmo dovuto discutere – spiega agli inquirenti nella notte del 1 maggio – della restituzione di un prestito pari a circa 17.000 euro che Damiano Galizia mi aveva erogato in contanti nei mesi di gennaio e febbraio di quest’anno e che io avevo materiale difficoltà a restituire. Voglio precisare che io ero veramente esasperato dalla continua richiesta di favori e piaceri da parte di Galizia nonché nutrivo timore sulla reazione di Galizia per la mancata restituzione del prestito. Infatti per una questione di minore rilevanza, il ritardato passaggio di proprietà di un’autovettura, Damiano Galizia la notte di Natale del 2008 mi aggredì e mi riempì il volto di schiaffi anche in presenza di altre persone». Il racconto ritorna al pomeriggio del 26 aprile: «Dopo esserci incontrati presso il centro commerciale Marconi di Rende verso le 18:15 io ho lasciato la mia auto e sono salito sulla sua, e abbiamo fatto un giro nei pressi del campus universitario durante il quale abbiamo telefonato con il mio cellulare al proprietario dell’auto per concordare il passaggio di proprietà dell’autovettura, nonché abbiamo parlato dell’apertura della partita Iva. Durante questo giro nella macchina di Galizia, lui mi ha fatto presente l’esigenza di acquisire la disponibilità di un altro immobile, allora io gli ho proposto l’affitto dell’immobile sito in contrada Dattoli nel quale poi è stato rinvenuto il cadavere di Galizia».
GLI SCHIAFFI E POI LA SPARATORIA SUL PIANEROTTOLO Durante il giro in macchina i due ritornano al centro commerciale, Attanasio prende nella sua macchina le chiavi dell’immobile di contrada Dattoli e si reca lì assieme a Galizia con la macchina della vittima. A quel punto, mentre salgono le scale la situazione – è sempre il racconto del 33enne – precipita perché Attanasio gli avrebbe detto di non poter ancora restituire le 17mila euro: «Voglio precisare che già la settimana precedente io avevo accennato a Damiano Galizia, nella sua abitazione di San Lorenzo Del Vallo, e in presenza del fratello, che io avrei onorato il mio debito la settimana successiva. A queste mie parole Damiano Galizia aveva avuto una reazione furibonda, aveva sbattuto i pugni sul tavolo, aveva alzato la voce e mi aveva implicitamente minacciato di percuotermi come aveva fatto nel Natale del 2008. Tra l’altro aveva fatto minacce allusive proferendo l’espressione “ricordati che hai una famiglia”. Ritornando al 26 aprile, io ho accennato, mentre salivamo le scale che portano al piano superiore dell’immobile di contrada Dattoli, all’impossibilità temporanea di restituire il prestito di 17.000 euro, e la reazione di Damiano è stata quella, come immaginavo, di sferrarmi uno schiaffo mentre avevamo raggiunto il pianerottolo. Dopo che il Galizia mi ha sferrato questo schiaffo, che sono riuscito in parte a schivare, io ho estratto dalla parte anteriore dei pantaloni, all’altezza degli slip, una Beretta calibro 9 corta legalmente detenuta e ho sparato tre o quattro colpi contro Damiano Galizia». Attanasio spiega al pm perché aveva con sé quell’arma: «Io solitamente non vado in giro armato ma avevo portato con me la pistola per intimorire Galizia ben conoscendo quale sarebbe stata la sua reazione alla mia prospettazione di un’ulteriore proroga della restituzione del prestito. Ho esploso i colpi mentre ci trovavamo sul pianerottolo del piano superiore dell’immobile di contrada Dattoli». Sono le sei del mattino del 2 maggio e l’interrogatorio viene sospeso qualche minuto perché Attanasio è in stato di shock. Riprende subito dopo e il giovane precisa: «Voglio precisare che la mia intenzione non era assolutamente quella di uccidere ma solamente di difendermi contro quella che sarebbe stata un’aggressione violenta da parte di Damiano Galizia. A riprova di quanto detto voglio precisare che l’arma non aveva il colpo in canna e prima di sparare ho dovuto scarrellare l’arma stessa. Sono sconvolto per quanto da me commesso e il mio stato di shock emotivo mi impedisce talvolta di essere preciso e dettagliato nel racconto dei particolari della vicenda». Ma Attanasio riferisce nei dettagli che cosa è successo dopo: «Sconvolto del gesto da me compiuto, una volta ucciso Galizia ho abbandonato l’appartamento di contrada Dattoli e sono fuggito via lasciando il corpo della vittima sul pianerottolo». Il 33enne si sarebbe disfatto subito del cellulare e delle chiavi dell’auto del suo compaesano. Per poi tornare sul luogo dell’omi
cidio. «Una volta ritornato, dopo il delitto nell’immobile di via Dattoli – aggiunge – ho trascinato il corpo di Galizia dal pianerottolo alla stanza del piano superiore che si trova a sinistra salendo le scale, ho adagiato il corpo su di un tappeto presente nella stanza e con lo stesso ho avvolto il corpo di Galizia. Successivamente con uno straccio, se non ricordo male di colore giallo, che ho trovato in casa, ho pulito le tracce di sangue e in particolare quella che era in prossimità del corpo di Damiano Galizia. Se non ricordo male poi ho buttato lo straccio in un cestino della spazzatura presente sul balcone dell’appartamento. Ho compiuto tutte queste operazioni verso le ore 19 del 26 aprile del 2016. Ho anche raccolto i bossoli e li ho portati con me, e me ne sono liberato strada facendo durante il viaggio di ritorno con la mia autovettura verso il mio domicilio a Cosenza».
RIMORSI E PAURA DI RITORSIONI Il giorno dopo – il 27 aprile (mentre la Mobile a Quattromiglia scopre l’arsenale) – Attanasio compra del nastro adesivo e delle buste nere della spazzatura e avvolge il corpo. Il 28 aprile avrebbe legato con una corda il tappeto. «Sono divorato dal rimorso di quanto ho fatto – ribadisce agli inquirenti –. Io dal 26 aprile in poi sono stato tempestato di chiamate e di avvertimenti da parte dei familiari di Galizia che sospettavano che io avessi informazioni sulla sorte del loro congiunto, che temevano fosse stato arrestato per la vicenda delle armi custodite nel box. Io timoroso di un’eventuale reazione violenta dei familiari di Galizia nonché divorato dal rimorso di quanto ho fatto, sono fuggito con tutta la mia famiglia a Vibo Valentia, precisamente a Sorianello e dopo aver lasciato lì i miei familiari mi sono rifugiato in un resort, per sfuggire a eventuali aggressioni dei familiari di Galizia che avevano individuato il mio precedente rifugio di Sorianello ed erano venuti a cercarmi. Durante questa mia fuga sono rimasto in costante contatto con un ispettore della Mobile di Cosenza al quale poi, spontaneamente, ho confidato di aver ucciso Galizia e ho fatto ritrovare il corpo». Prima di concludere l’interrogatorio Attanasio ribadisce al pm di aver confessato l’omicidio il 1 maggio per «mettere in salvo la sua famiglia» e per evitare «ripercussioni». Probabilmente nella giornata di mercoledì si dovrebbe svolgere l’interrogatorio di garanzia di Attanasio, difeso dagli avvocati Gianluca Bilotta e Maria Gagliardi, e poi il gip dovrebbe esprimersi sulla convalida del fermo. Intanto, nei giorni scorsi, ignoti hanno incendiato la cappella della famiglia di Attanasio al cimitero.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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