COSENZA Ha risposto a tutte le domande e ricostruito la sua carriera criminale fino alla decisione di “saltare il fosso”. È durato oltre tre ore l’esame di Franco Bruzzese, il neo collaboratore di giustizia, sentito questa mattina nella Corte d’Assise di Cosenza come testimone nel processo “Tela del ragno”. Si tratta dell’operazione contro i presunti capi e gregari del clan Perna-Cicero di Cosenza, Gentile-Africano-Besaldo di Amantea, Scofano-Martello-Rosa-Serpa di Paola, e Carbone di San Lucido. Bruzzese collabora con la giustizia da alcuni mesi e oggi è stata la sua prima “uscita pubblica” da pentito.
Molto attesa la sua deposizione: Corte d’Assise affollata e rigidi controlli delle forze dell’ordine. Perché il pubblico ministero Eugenio Facciolla ha voluto sentirlo non collegato in videoconferenza, ma direttamente in aula. Bruzzese arriva attorno alle 11 scortato e parla dietro un paravento. La difesa di Giovanni Abbruzzese (imputato nel procedimento e fratello di Franco Bruzzese il cui cognome è diverso solo per un errore all’anagrafe) aveva chiesto di sentirlo come imputato di reato connesso, richiesta che ha visto la ferma opposizione del pm Facciolla che aveva chiesto e ottenuto di sentirlo come testimone perché – ha precisato più volte – in questo procedimento Bruzzese non è mai stato né indagato e né imputato.
Una richiesta pienamente accolta dal presidente Giovanni Garofalo. Bruzzese, condannato in via definitiva per un tentato omicidio e sotto processo per il delitto di Luca Bruni, era detenuto in regime di 41 bis prima di diventare collaboratore di giustizia. Adesso vive in una località protetta. In aula ha ripercorso tutta la sua carriera criminale e ha riferito, parlando con sicurezza e dovizia di particolari, quanto a sua conoscenza in merito al delitto di Luciano Martello, avvenuto nell’estate del 2007 davanti a un ristorante a Fuscaldo.
LA CARRIERA CRIMINALE Franco Bruzzese afferma subito di voler rispondere a tutte le domande e, spiegherà dopo in sede di controesame, ribadisce di aver deciso di collaborare con la giustizia perché lo studio e la cultura gli hanno fatto «capire molte cose». Una decisione, però, non condivisa «al momento dalla sua famiglia». Il neopentito ripercorre la sua carriera criminale da quando ha avuto la prima affiliazione nel 2000, poi la seconda nel 2004 e la terza nel 2013 nelle quali ha raggiunto i diversi gradi della ‘ndrangheta. «Facevo parte del gruppo degli zingari – racconta in aula -. Mi occupavo di assalti ai portavalori: ho compiuto circa 20-22 rapine».
Il bottino di ogni singola rapina – chiarisce Bruzzese al presidente della Corte – era di circa un miliardo di vecchie lire, prima, e di 700mila euro-un milione di euro, poi. La prima affiliazione avviene – è sempre il suo racconto – per volontà di suo cugino “Dentuzzo” e del fratello Giovanni Abbruzzese.
La seconda affiliazione risale al 2004 in casa del genero di Nella Serpa, alla quale partecipano anche Michele Bruni, Nella Serpa, Carlo Lamanna, la compagna di Michele Bruni, Edyta Kopacinska e Pasquale Arena della cosca di Isola Capo Rizzuto. L’ultima affiliazione nel 2013, nel carcere di Cosenza, e c’era anche Franco Patitucci.
«In quell’occasione – spiega Bruzzese – mi hanno dato i gradi di trequartino, quartino e padrino che è il massimo. Perché – chiarisce al pubblico ministero – mi ritenevano affidabile e portavo molti soldi alla cosca con gli assalti ai furgoni portavalori».
Ne ha commessi diversi in Calabria e in Puglia. Per questi reati è stato fermato per una rapina in Sila nel 1998 e poi in Puglia in un paio di episodi: arrestato per la detenzione di armi collegate, poi, agli assalti. Fino al 1999 assalti e rapine erano commessi dal gruppo degli zingari con Carlo Lamanna con cui c’era un rapporto di «amicizia».
LA FUSIONE CLAN ZINGARI-BRUNI «Nel 2002 – racconta ancora Franco Bruzzese – Carlo Lamanna mi convinse a fare entrare nel gruppo la cosca Bruni. Ma io non volevo perché erano sfortunati e avevano contrasti con altri clan, come con la cosca Lanzino: perché Michelino Bruni li riteneva responsabili della morte del padre». Ci fu comunque la fusione tra il clan Bruni e gli zingari ma Bruzzese non si occupava degli omicidi. Dei delitti – ripete più volte – non ne voleva sapere e quindi non partecipava alle riunioni organizzative ma conosceva soltanto quello che gli riferivano. Come avvenne pure per il delitto Martello.
DELITTO MARTELLO Franco Bruzzese spiega ai giudici di non aver partecipato all’omicidio di Luciano Martello, che venne compiuto dal gruppo Zingari-Bruni perché – riferisce in aula – «Nella Serpa aveva chiesto la cortesia ai Bruni e in questo modo si aveva pure accesso».
«Mi dissero che l’omicidio venne ordinato da Luca Bruni – aggiunge – per fare una cortesia a Nella Serpa che riteneva Martello responsabile dell’omicidio del fratello Pietro Serpa. La sera del delitto Carlo Lamanna e mio cugino Fiore Abbruzzese sono venuti da me che villeggiavo a Fiumefreddo: mi dissero che avevano (loro e il gruppo preciserà poi ai giudici, ndr) ucciso Martello. Ma io risposi che negli omicidi non mi dovevano mischiare. Io gestivo gli arsenali ma nessuno mi ha chiesto armi per quel delitto. Per questo non ho mai parlato del delitto Martello con mio fratello».
Bruzzese parla poi di Umile Miceli, genero di Antonio Sena, che «ha gravitato nella cosca Bruni: ha fatto la staffetta per assalti e spostava le armi».
Nel corso del controesame il difensore di Miceli, l’avvocato Antonio Ingrosso, ha fatto notare una contraddizione rispetto al verbale rilasciato al pm Facciolla in cui spiegava che non ricordava i gradi di Miceli, mentre oggi in udienza ha detto con sicurezza che Miceli aveva ottenuto il grado della Santa. Ma – evidenzia il legale – uno che fa le staffette non può avere un grado così elevato». Bruzzese afferma, poi, di conoscere la compagna di Michele Bruni, Edyta Kopacinska: non ha mai parlato con lei ma sa che Michele Bruni la informava di tutto e in sua assenza era lei a dare ordini ad Adolfo Foggetti e pure a Miceli. Franco Bruzzese ribadisce che i rapporti con il fratello Giovanni erano buoni.
IL CLAN RANGO-ZINGARI La cosca Rango-Zingari nasce dopo l’arresto di Franco Bruzzese nel 2012: «Daniele Lamanna e Maurizio Rango – racconta – diventano reggenti. Ma Rango è stato sempre con gli Zingari. Mio fratello prendeva i soldi anche quando era in carcere».
NESSUN RAPPORTO CON LA FAMIGLIA Franco Bruzzese, incalzato dalle domande delle difese, ammette che la moglie e i suoi due figli «per il momento non hanno seguito la scelta di collaborare con la giustizia». «Non hanno approvato – specifica – ma spero che poi capiranno». Il collaboratore poi aggiunge: «Sono due anni che non vedo mia moglie e mia figlia. Non sono venute ai colloqui per motivi finanziari e di salute di mia moglie».
Ed entra poi anche in alcuni dettagli economici. «Quando ero detenuto – spiega –, almeno fino al 2011, non arrivavano soldi alla mia famiglia. Poi dal 2011 ci pensava Rango. Io e la mia famiglia non abbiamo mai lavorato, ma i soldi li guadagnavo con gli assalti. Quando facevo i blindati mettevo da parte molto denaro. Il bottino si ripartiva anche tra chi non aveva partecipato: prendeva di più chi eseguiva la rapina, meno chi aveva ruoli minori».
«Con Daniele Lamanna avevo rapporti buoni – precisa rispondendo a una domanda del pm –. Con Carlo Lamanna i rapporti cambiano quando mi fece recapitare una busta tramite lo studio legale Manna che conteneva una intercettazione tra i fratelli Bruni».
Dopo l’articolata deposizione del nuovo pentito e una breve pausa, l’udienza è ripresa per sentire il testimone Pasqualino Besaldo. Il suo racconto non ha convinto gli imputati Ulisse e Giuliano Serpa che hanno rilasciato brevi dichiarazioni spontanee confermando i rapporti con il teste. Il pubblico ministero aveva c
hiesto un confronto tra Besaldo, i pentiti Adolfo Foggetti, Edyta Kopacinska, Daniele Lamanna, e con gli imputati Giuliano e Ulisse Serpa. Ma la Corte ha rigettato la richiesta, accogliendo invece la richiesta dell’avvocato Ingrosso di acquisire i verbali del pentito Angelo Colosso. Il processo è stato aggiornato al prossimo 19 maggio per la requisitoria.
Il collegio difensivo è composto, tra gli altri, dagli avvocati Antonio ingrosso Giuseppe Bruno, Francesca Gallucci, Sabrina Mannarino, Riccardo Adamo Antonio Quintieri, Giorgia Greco e Nicola Guerrera.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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